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giovedì 5 giugno 2008

Chi ama non dimentica. Maradona by Kusturica


Solo un autore come Emir Kusturica poteva realizzare un film su Diego Armando Maradona. Maradona, il miglior giocatore di tutti i tempi. La classe congelata nel sinistro (e nella mano) di Dio. Il Signore del Pallone, l’incarnazione del Verbo calcistico. Emir ci ha messo tre anni per realizzare questo documentario, passando da immagini di repertorio al folklore naïf argentino (peccato ce ne sia poco di quello napoletano, unico nel globo), da momenti in famiglia a crisi personali. Dalla nascita del Mito all’impegno politico e sociale, passando per la droga, la riabilitazione, i demoni interiori che sconvolgono la vita di un campione. Ascesa e declino, proprio come in un film. I gol magici si susseguono come la visione critica di un universo capace di cambiare soltanto stando dalla parte giusta. A sinistra del potere. Quel ruolo imparato sui libri di Che Guevara, a colloquio con Fidel Castro, su un palco con Evo Morales e Hugo Chávez. Una posizione conquistata con i due gol all’Inghilterra nei quarti di finale del mondiale ’86 in Messico, siglando il gol del secolo. Maradona è così, un uomo confuso e sincero, spontaneo e perso, la cui identità rimane ignota anche dopo novanta minuti in sala.


Restano i suoi gol, la sua fantasia, le emozioni dispensate con le maglie dell’Argentinos Juniors, del Boca, del Barcellona, del Napoli e della nazionale. Sempre a Sud del mondo. Un senso totale di devozione, suggellato dalla Chiesa Maradoniana che accoglie i fedeli con la maglia numero 10 ed un rito che rievoca quella mano che spinge il pallone alle spalle di Shilton. Kusturica partecipa divertito, mescola fino all’eccesso tutti i materiali che ha a disposizione (giungendo addirittura a delle parti animate stile Monty Python con God Save the Queen versione Sex Pistols in sottofondo), scopre quanto siano vicini l’Est dell’Europa e il Sud dell’America, ne diventa complice, amico, familiare. Immagina El Pibe de Oro come protagonista dei suoi stessi film (oltre che ideale attore prediletto di Sergio Leone e Sam Peckinpah), nella Sarajevo in procinto di cambiare di Ti ricordi di Dolly Bell? (Sjecas li se, Dolly Bell, 1981), nei toni surreali tra vita e morte (l’intreccio di Thanatos e Eros ricreato dal tango assume una valenza essenziale) di Gatto nero, gatto bianco (Crna macka, beli macor, 1998), nei ricordi d’infanzia e nella nobiltà ereditaria dei poveri in Papà … è in viaggio d’affari (Otac na sluzbenom putu, 1985). È così che Maradona by Kusturica diventa anche una ricognizione sul regista serbo, pienamente assorbito dalla materia trattata, quasi divorato dall’ossessione per il proprio lavoro, la propria arte e le proprie passioni.


Solo un autore come Emir Kusturica poteva realizzare un film su Diego Armando Maradona. Girando anche un film su se stesso. Perché il cinema è come il calcio e Diego Armando è come il Jake LaMotta di Robert De Niro in Raging Bull (Toro scatenato, 1980). L’unica differenza è che lui usa i piedi invece dei pugni. In fondo si tratta di un attore, un attore sopraffino che interpreta un solo ruolo, quello di Maradona: «Ho due sogni: il primo è di giocare la Coppa del Mondo, il secondo è di vincerla».

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