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lunedì 24 settembre 2007

FUORI POST (variazioni sul Tema): altro che procedural drama. Un giorno in pretura.


Ma avete visto qualche puntata della nuova stagione di Un giorno in pretura? No, nulla contro la conduttrice Roberta Petrelluzzi (anzi, la sua aria da professoressa di liceo ci riporta con la mente alla vecchia televisione, quella che educava e informava). Nulla contro i modi (ormai le riprese televisive dei processi sono un dato di fatto) o la formula (diretta, lineare, stringata, essenziale). A sconvolgere e inorridire è proprio la sostanza della trasmissione: i fatti. Crudi, tremendi, dannatamente reali. Fatti di sangue, che impressionano e (purtroppo) appassionano.


Un ragazzo di 17 anni ruba il motorino ad una ragazza. Per sua sfortuna si tratta della figlia di un boss locale (siamo nella Napoli più desolante e disperata). Il padre – istigato dalla figlia – prende e spara al ragazzo. Tre colpi. Così, a bruciapelo. Lo uccide. Poi fugge e resta latitante per mesi, fino a quando non viene acciuffato dai carabinieri. Almeno secondo la ricostruzione del Pubblico Ministero. Mentre la difesa ribatte con una versione della vicenda che per quanto garantisti si possa essere non può non far sganasciare dalle risate. Un ghigno, è più corretto. Perchè all’inizio si ride, si ride di brutto. Già per i modi, le vicissitudini e le palle tremende che si inventa l’imputato. Poi per la sfilza di testimoni che raccontano (o non ricordano, o inventano) fatti accertati, frutto di testimonianze, intercettazioni ambientali, interrogatori. È tutto molto comico. Gli amici cocainomani del colpevole (il tribunale lo ha condannato a 30 anni, in attesa del ricorso in appello) sono uno spasso assoluto. In particolare colpisce uno, che afferma: 1. di non ricordare se ha mai visto/conosciuto l’imputato; 2. di esserne compagno di sniffate, ma solo quando lavorava in officina (e no, la coca mica gliela dava lui, era un regalo dei clienti che parcheggiavano le auto!); 3. di aver avuto una colluttazione con l’imputato del tutto amichevole (se essere preso a randellate con una mazza di legno e ricavarne due denti volati via è amichevole…). Per poi concludere lo show chiedendo dell’acqua perchè ha la gola secca.


Ma PM e giudice non sono da meno. Si incazzano come bestie, urlano, hanno un’urgenza, una fame di giustizia innegabile. L’avvocato della difesa è invece triste. Vestito da damerino, con il suo vocabolario più rigido di un busto, si esprime peggio di un burocrate creato dalla fantasia di Gogol’. E qui la risata di pancia si tramuta in ghigno. Perchè è tutto vero: i reati, i testimoni, i giudici, gli avvocati. Più vero della realtà. Altro che procedural drama, legal thriller, avvocati in divisa e trionfo della verità. Roba che nemmeno nei romanzi di John Grisham e Scott Turow o nei film di Sidney Lumet e Alan J. Pakula. Non c’è socio o cliente che tenga. Quando si dice che l’immaginario non riesce a star dietro al corso degli eventi.

Tutto ciò è molto triste.

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