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venerdì 14 marzo 2008

Blue Seattle. Singles


Manifesto della cosiddetta Generazione X, Singles (Singles – l’amore è un gioco, 1992) è da vedere per diversi motivi. Innanzitutto perché dopo l’acerbo debutto Say Anything... (Non per soldi... ma per amore, 1989) ha lanciato Cameron Crowe come uno dei registi più attenti alle dinamiche e agli universi giovanili. In secondo luogo perché è stato un fenomeno di culto per gli amanti del grunge, il suono di Seattle che quasi vent’anni fa ha rilanciato il rock dopo il grigiore degli ’80. Infine, perché di un bel film stiamo parlando. Crowe passa infatti in rassegna le incertezze, le paure, gli slanci di una serie di personaggi cui ci si affeziona e nei quali si proiettano ansie e debolezze comuni. Non senza un eccessivo semplicismo, difetto che si riscontra nel regista anche nelle future, migliori opere come Almost Famous (2000) e Elizabethtown (2005). Con sincerità però, poiché l’attaccamento alla materia è vivo e sentito.


Un condominio nel centro della città ospita cinque giovani che vivono turbamenti e scosse sentimentali. Steve (Campbell Scott) e Linda (Kyra Sedgwick) si incontrano ad un concerto degli Alice In Chains. Si piacciono, stanno insieme, si allontanano, affrontano un aborto, il lavoro, la mancanza di sicurezza, le possibilità del caso. Debbie (Sheila Kelley) è una svampita single in cerca dell’uomo ideale, da trovare con un annuncio per cuori solitari. Cliff (Matt Dillon) e Janet (Bridget Fonda) si inseguono e si trascurano a vicenda, salvo ritrovarsi in un ascensore e capire tutto di loro stessi. Sullo sfondo la Emerald City del 1991, piena esplosione grunge. Il clima, l’abbigliamento, i locali, ogni situazione rimanda a quel fervore e a quel periodo così pulsante. Inevitabile per un ex critico rock come Crowe (che si prende in giro rivestendo il ruolo del giornalista che intervista Cliff, singer dei fantomatici Citizen Dick) intingere la pellicola di richiami: vinili, serate live, manifesti sui muri, la gigante scritta inneggiante i Mother Love Bone che campeggia fuori il bar dove Janet lavora.


Numerosi sono i cammei degni di nota: a partire da Alice In Chains e Soundgarden colti on stage, Chris Cornell che apprezza l’impianto stereo di Cliff, Jeff Ament, Eddie Vedder e Stone Gossard che interpretano i restanti Citizen Dick (e sono assolutamente esilaranti quando seguono con somma attenzione un documentario sulle api). Senza dimenticare il regista che realizza l’orrenda clip acchiappa uomini per Debbie, un certo Tim Burton. Menzione d’obbligo per la colonna sonora, ovvia appendice ad una simile ricognizione filologica. Alice In Chains, Soundgarden, Pearl Jam, Mother Love Bone, Mudhoney, Jane’s Addiction, Screaming Trees e Smashing Pumpkins i noti. Truly e TAD i meno diffusi, altrettanto validi e fondamentali. Roba da vedere con le orecchie insomma.

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