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giovedì 2 giugno 2011

«Dovevamo farlo cadere noi il muro... Dall'altra parte!». Cirkus Columbia


Bosnia-Herzegovnia, 1991. Il muro è caduto, un mondo intero è al collasso. Divko ne approfitta e dopo un autoesilio in Germania durato vent'anni fa ritorno al proprio villaggio d'origine. Nel tempo ha finanziato il blocco anti-comunista, quindi tutto gli è dovuto. Anche riprendersi la casa dove vivono l'ex moglie Lucija e il figlio Martin ed insediarsi con la nuova compagna Azra ed il fidato gatto portafortuna Bonnie. I marchi sonanti precedono e seguono il suo arrivo. L'intero paese si mobilita, mentre i serbi iniziano ad attaccare Dubrovnik e le milizie croate non restano a guardare. Da questo assunto prende le mosse Cirkus Columbia, film di Danis Tanovic presentato alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia 2010, in concorso al Festival di Toronto e dal 27 maggio (2011…) nelle sale italiane distribuito da Archibald.


La Jugoslavia si sbriciola progressivamente. Allo sgretolarsi di una realità politico-sociale in ebollizione, Tanovis predilige lo spaesamento di diverse generazioni messe a confronto. La guerra è sullo sfondo, prepotente. Sta arrivando. Intanto c'è la voglia matta di Divko di tornare "uomo libero". La necessità della normalità che anima Lucija. L'incertezza di Martin, chiuso in questa morsa e spinto "soltanto" a vivere. Il riavvolgersi della memoria in un passato durato 50 anni. Il solco che Tanovic traccia tra il rimosso ed il ricordo: «Per lungo tempo il periodo prima della guerra apparteneva ad una vita che non riuscivo a ricordare. Ogni volta che cercavo di pensare alla mia vita nel periodo prima della guerra si creava nella mia testa questa lacuna. Era come se la guerra avesse coperto tutto ciò che era esistito prima. Mi sembrava che quel tempo fosse una parte della mia vita che avevo perso. Poi, di colpo, pochi anni fa, senza una ragione apparente ho cominciato a ricordare. Qualche volta un odore, qualche volta il viso di una persona che conoscevo, qualche volta una scena priva di particolare importanza.»


È in questa linea di confine che Cirkus Columbia nasce e gioca le sue migliori carte. È qui che tra dramma e commedia punta il regista, risucchiato dalla materia trattata eppure abile nel non finirci impantanato. Non tutto fila liscio, si avverte qualche forzatura nella parte centrale del film, l'ironia ed i toni grotteschi avrebbero meritato un respiro più ampio (in questo senso il cinema del croato Vinko Brešan rimane inarrivabile). E allora il film finisce per poggiare sulle rughe e l'assenza di uno stupendo (come al solito) Miki Manojlovic, sullo sguardo puro e penetrante di Mira Furlan, sulla bellezza mozzafiato (distrutta da un ridicolo doppiaggio) di Jelena Stupljanin, sugli slanci ingenui di Boris Ler (occhio alle sue magliette). E su una galleria di personaggi che divertono e commuovono, dall'ex sindaco Leon (che ha portato in casa il busto di Tito per evitare che venga sommerso dagli sputi della gente) al nuovo amministratore "democratico" Ivanda, fino al capitano dell'esercito jugoslavo Savo e alla fauna di facce da bar che popola il paese. Tra la modernità ed il passato, tra il capitalismo ed il socialismo, Martin sceglie l'America. Ma non è una presa di posizione politica. È soltanto vitalismo giovanile, cristallino, genuino. E rimane la vera ragione di Cirkus Columbia. Perché quando le bombe cominciano a cadere, non resta altro che un nuovo giro di giostra.

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