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giovedì 4 ottobre 2007

Istinto e ragione. Memories of Murder


La pioggia è morte. Il rosso è morte. Il sesso è morte. Una canzone è morte. Almeno nella mente del poliziotto Seo Tae-yoon che sta indagando sull’uccisione brutale di alcune donne. Lui viene da Seul, siamo nel 1986 nella provincia di Gyunggi e la Corea del Sud vive una fase di tremenda agitazione politico sociale (a sei anni dal colpo di stato del generale Chun Doo-hwan, nel vivo delle rivolte popolari contro polizia e Quinta Repubblica). Nelle indagini è assistito da Park Doo-man (meravigliosa l’interpretazione di Song Kang-ho), agente dal carattere aggressivo, uomo d’impulso oltre che d’azione. È proprio su questo corto circuito che si sviluppa la vicenda di Memories of Murder (Sarin-ui chu-eok, 2003), secondo bellissimo film del regista coreano Bong Joon-ho dopo la black comedy Barking Dogs Never Bite (Flandersui gae, 2000).


L’ambientazione rurale rende questo thriller davvero particolare. La sceneggiatura è calibrata alla perfezione e nonostante la lunghezza, il film scorre via teso e vibrante. La macchina da presa è un occhio sincero e fluido su un mondo in divenire. Gli anni ’80 coreani, il terrore delle persone comuni, il pugno d’acciaio della legge. Tutti sono spaventati, tutori dell’ordine compresi. Bong Joon-ho ha il coraggio e la forza di girare con grande pulizia e rigore, rifacendosi alla tradizione asiatica e al tempo stesso guardando al modello americano (il regista stesso dice di essersi ispirato a Fargo - 1996 - dei fratelli Coen). E vince la sua partita unendo profondità d’indagine e (voluta?) ironia (quando Park Doo-man segue la pista degli uomini senza peli si ride tantissimo), azione e riflessione. Soprattutto quando entra in gioco la soluzione dell’enigma. Da una parte i poliziotti locali, dall’altra il nuovo arrivato. I primi sono rozzi ma efficaci, sbirri di provincia un po’ sciocchi, dai modi spesso brutali. Seo Tae-yoon invece è laureato, intelligente, bello, scrupoloso, ha metodo. I loro mondi si incontrano/scontrano, ognuno ne resta influenzato. Ragione e istinto hanno confini sfumati. Così come il mondo che li circonda. Ciò che resta è disillusione, impotenza, incapacità di reagire.


Il mistero rimane senza alcuna rivelazione. Tuttavia l’ultima sequenza con gli occhi gonfi di Song Kang-ho, fissi a guardare la macchina da presa, ad incrociare i nostri occhi, dice più di mille fatti, molto più di mille parole.

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