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mercoledì 8 aprile 2009

La Natura di Miyazaki


Princess Mononoke (Mononoke Hime), Hayaho Miyazaki, 1997: quando nei disegni di un autore dolce, prende forma la vita dormiente. La vita, cioè, che si manifesta allorché smettiamo di agire meccanicamente e scivoliamo nei tratti indistinti dei nostri pensieri inconsapevoli; o meglio, divenuti inconsapevoli perché sepolti dagli “incubi” di una quotidianità spesso piena di confortevole ovvietà e priva di sufficiente, vitale e naturale immaginazione.
Mononoke, lontano dall’essere il nome della principessa protagonista, significa in realtà Spiriti della Vendetta. In riferimento agli Dei della foresta che, nel racconto, si trasformano in Demoni ogni qualvolta vengono feriti mortalmente dagli uomini.


Il film racconta del Paese del Ferro costruito ai margini di una magnifica foresta e governato da Eboshi, una spietata signora. Il villaggio è atto alla costruzione di armi da fuoco e - per procurarsi le necessarie risorse - al disboscamento della foresta stessa. Si tratta, dunque, del racconto di una guerra tra gli umani e le forze della natura rappresentate dagli Dei-Animali e dalla principessa San, quella del titolo, un’umana cresciuta dai lupi. Nel mezzo delle due fazioni vi è il Principe Ashitaka.

Onirica ma splendente fiaba, La Principessa Mononoke è un racconto che si apre a molteplici livelli di interpretazione. Sicuramente narra della violenza cieca dell’Uomo nei confronti del pianeta. Ma, se si volesse osare e spingersi oltre, si potrebbe immaginare quella foresta piegata ai soprusi, come la Natura stessa degli esseri umani; una Natura spontanea - la stessa del Fanciullino, del Buon Selvaggio, dei bambini di Truffaut – che usiamo seppellire, come dicevamo sopra, sotto “convenienti” e convenzionati principi economico-sociali, dettati da un sistema che fingendo il benessere, crea un profondo stato di malessere diffuso. Quella Natura, in ultima analisi, che qualche volta reclama vendetta.

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