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venerdì 11 febbraio 2011

They’re coming for you, Uxbal. Biutiful


Un’ombra minacciosa si aggira per le ramblas di Barcellona. È quella di Uxbal, protagonista di Biutiful. Nel film di Alejandro González Iñárritu, il primo senza Guillermo Arriaga a dettare i tempi della sceneggiatura, il personaggio interpretato da Javier Bardem riempie della propria ingombrante presenza quasi ogni singola inquadratura. Padre di due bambini di cui si occupa al posto della moglie, una sorta di mutante bipolare, traffica in uomini e topi nel tumultuoso caos catalano. Nonostante abbia il potere di comunicare con i morti ed aprire loro le porte dell’hereafter, scopre di avere un tumore e comincia a temere per il futuro dei suoi figli.


Non sembra, eppure Biutiful è uno zombie movie. Per vari motivi. Innanzitutto perché Uxbal è già morto. E parla con i morti. Da cadavere ritorna. Si aggira per strada barcollante e dubbioso, divora i pasti con i modi bruschi del bisogno innato e animalesco, educa al rigore e al risparmio. Non accetta intromissioni nel privato. È morto. E scopre che per essere abbattuto non c’è bisogno di un colpo in testa. Basta una pisciata rosso sangue. L’horror(e) che travolge, perché Iñárritu spia dal buco della serratura il globalismo, cercando in tutti i modi di nutrire un comune senso di colpa. Per cosa, non si capisce bene. Trionfa un certo compiacimento. Si affastellano temi su temi, in maniera a dir poco confusa: l’economia che si allarga senza diritti e protezioni, lo sfruttamento, venditori africani e operai cinesi, omosessualità ad occhi a mandorla, schizofrenia e violenza domestica, polizia corrotta, incesti famigliari, e chi più ne ha più ne metta. Il tutto senza quasi mai sporcarsi le mani, lontano dalla gente comune che vorrebbe sbattere sullo schermo. Tanto meglio la buona e ricca borghesia, quella americana che andava in vacanza in Marocco o quella giapponese che trafficava in armi. Semba di assistere ad un confuso quadro metropolitano, come se Amir Naderi invece di Kafka avesse scelto Roberto Saviano come riferimento culturale.


Dunque cosa resta? Risposta semplice: una regia che aiutata da montaggio, suoni e musiche, pur abusando di camera a mano, si concede agli spazi, ad alcuni abbaglianti campi lunghi, ad improvvise aperture visionarie (il dialogo con i bambini morti; i cinesi asfissiati e le larve che si agitano sul soffitto); il volto pietrificato e fisso di Javier Bardem; la meravigliosa accoppiata di naso e tette di Maricel Álvarez; squarci suggestivi di una Natura che appare e scompare al cospetto di una Barcellona sporca, affascinante e notturna. Poco, purtroppo. Istanza sociale e redenzione privata potevano essere più biutiful.

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