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mercoledì 7 novembre 2007

Duri (de)generi. Caccia selvaggia


Peter R. Hunt è un onesto professionista. Ha lavorato soprattutto come montatore e sceneggiatore di diversi 007, ha diretto Agente 007, al servizio segreto di sua maestà (On Her Majesty's Secret Service, 1969) e altre pellicole medie come Il segno del potere (Gold, 1974), Ci rivedremo all’inferno (Shout at the Devil, 1976) e Assassination (1986). Il miglior esito del suo cinema è però Caccia selvaggia (Death Hunt, 1980), vicenda tratta da una storia vera, sceneggiata da Mark Victor e Michael Grais, interpretata da due macigni del calibro di Charles Bronson e Lee Marvin. Il primo cacciatore scambiato per maniaco e braccato da un’orda di balordi che vogliono la sua testa, il secondo sergente delle Giubbe Rosse costretto ad inseguirlo dal Canada fino ai confini del circolo polare artico.


La regia di Hunt è diligente, non stupisce ma non ha cali, tiene bene la tensione, regge la suspense e soprattutto mischia con intelligenza i generi (avventura, western, action). Se Carl Weathers (un nero tra le nevi il cui vero nome è George Washington Lincoln Brown!) aggiunge un tocco ironico e Angie Dickinson un erotismo morbido e soffuso, il fulcro del film sono i due protagonisti. Albert Johnson (Bronson) è 'uno che viene da nessuna parte', un solitario che vive un profondo legame con Madre Terra (ama gli animali, non certo gli umani). Il dettaglio sui suoi occhi è una entrata in scena memorabile. Edgar Millen (Marvin) è un burbero ranger, abile e scontroso, uno da fumo e alcol (quando si presenta la giovane, ingessata recluta Alvin Adams gli si rivolge sornione “con quella faccia, questo buon whiskey me lo fai diventare piscio!”).


Il contesto è il Canada del 1932. Terra magnifica ancora selvaggia, popolata da uomini duri, che non si adattano all’evolversi dei tempi, delle leggi e delle tecnologie. Eterni conflitti del cinema americano tra natura e cultura, vecchie e nuove generazioni. “Se il futuro è come lei,” – dice Millen al borioso aviatore che vuole stanare Johnson in aeroplano – “allora non lo voglio vedere”. È un desiderio che si concretizza nell’immersione nella Natura e nella comunanza tra inseguitore ed inseguito, il loro sorriso d’intesa quando si scrutano a distanza con il binocolo è eloquente (oltre che meraviglioso). Un reciproco rispetto che si sviluppa al di là dei ruoli, perché si tratta solo di uomini legati ad un modo semplice, essenziale di vivere. Tra bounty killer e l’idiota pilota in cerca di promozione, è il sergente Millen ad esercitare pieni ‘diritti di caccia’, tanto da esclamare “lui si merita me, non quelli!”. Un confronto avvincente che è l’anima del film, un prodotto di genere come raramente se ne fanno oggi, che riflette e mantiene ciò che promette: passioni, ritmo, emozione.

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