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domenica 11 novembre 2007

The Wild Blue Yonder: il documentario di finzione


Werner Herzog, il prestigiatore, con The Wild Blue Yonder (L’ignoto spazio profondo, 2005) realizza un altro documentario di finzione. Questo suo personalissimo genere (il documentario di finzione, appunto) si basa fondamentalmente su un gioco di rimandi continui tra il mondo reale e l’universo filmico.
Le immagini sono quelle del documentario, immagini che, quindi, in un certo senso, potremmo definire “didascaliche”: atte ad una mera illustrazione della realtà, perciò indubbiamente più libere dalle metafore del linguaggio filmico, almeno rispetto a tutti gli altri generi cinematografici. Niente di più menzognero, se riferito a Herzog. Il suo documentario è sotto il giogo della fiction, al pari di un musical di Vincente Minnelli. E così il mare antartico interpreta il ruolo di un pianeta dal cielo ghiacciato e dall’atmosfera liquida dell’Elio; gli astronauti della Nasa in missione si trasformano nei nuovi pionieri dello Spazio alla ricerca di luoghi, anche selvaggi, da abitare.


Filo conduttore e narratore fuori campo è il protagonista: un uomo reale dalle assonanze western, che diventa ai nostri occhi un alieno. Herzog crea una vera e propria Fantasmagoria, giocando su un novello concetto di Immaginità: non più reazioni intellettuali indotte dall’accostamento delle inquadrature (come era per Eisenstein), ma costruzione di significati derivanti dal concatenamento delle immagini, che paradossalmente diventano verosimili se relazionate al racconto del narratore onnisciente. Il regista della nouvelle vague tedesca riesce così ad ottenere una narrazione, che conduce per mano i nostri occhi, indicandoci, di volta in volta, il senso da dare a ciò che è stato catturato dallo sguardo. Comune a questi due modi dell’Immaginità, la manipolazione percettiva dello spettatore. Ma il guardante al cospetto del cinema di Herzog, possiede la coscienza del Gioco messo in atto dal regista; coscienza completamente assente, invece nel caso degli spettatori di Eisenstein: il russo stava inventando il Linguaggio cinematografico agli inizi del secolo scorso ed il tedesco lo re-inventa nel ventunesimo secolo, consapevole delle strade tracciate dai “suoi Padri”.

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