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martedì 27 novembre 2007

Voglio la testa di Lucio. Un gatto nel cervello


Con le dovute proporzioni, Un gatto nel cervello (1990, conosciuto negli Usa come Nightmare Concert) sta a Lucio Fulci come Bring me the Head of Alfredo Garcia (1974) sta a Sam Peckinpah. Fulci è stato un uragano, “il terrorista dei generi” come l’hanno definito nella loro monografia Paolo Albiero e Giacomo Cacciatore. Ha affrontato di tutto: il comico (le sue regie per i film di Franco e Ciccio sono state le migliori), gli spaghetti western (Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro (1969) e I quattro dell’apocalisse (1975) sono ironici e psichedelici, pellicole violente e dalla forma estrema, che in pochi hanno riabilitato), la commedia sexy (erano i tempi di Lando Buzzanca, che lui rendeva scorretto per politica e società), l’avventuroso (i due capitoli di Zanna Bianca sono entrati nella memoria collettiva di un paio di generazioni). È però nell’horror thriller che Fulci ha dato il meglio di sé. La sua poetica lucida, brutale, colta, visivamente sconvolgente ha tritato e squarciato archetipi, cliché e miti dell’orrore. Una sensibilità scossa da ossessioni e voglia costante di sperimentare nuove formule, andare sempre oltre.
Dalle realizzazioni pregiate che hanno influenzato tanti più celebrati ‘autori’ (Una lucertola con la pelle di donna, 1971; Non si sevizia un paperino, 1973; Sette note in nero, 1977; Paura nella città dei morti viventi, 1980; I guerrieri dell'anno 2072, 1984; i capolavori L'aldilà - E tu vivrai nel terrore!, 1981, e Lo squartatore di New York, 1982) ai b-movies della deriva televisiva, fatti con idee, pretese incredibili, assoluto vigore e scarsissimi mezzi (Manhattan Baby, 1982; Murderock - Uccide a passo di danza, 1983; Aenigma, 1986; Quando Alice ruppe lo specchio, 1988).


Un gatto nel cervello è il terzultimo film del regista romano, ed è tanto pedestre quanto significativo (soprattutto perché precede il colpo di coda dei sottovalutati Voci dal profondo, 1990, e Le porte del silenzio, 1991). Protagonista è Lucio Fulci, il regista. Sta girando il suo ultimo film ma è ossessionato dalle immagini truculente che egli stesso elabora (per la cronaca, estrapolate da filmacci del suo periodo di declino, in particolare Quando Alice ruppe lo specchio). Si rivolge così ad uno psichiatra vicino di casa, che in realtà si rivela un pericoloso e disturbato serial killer. Complice una profonda ipnosi, commette delitti che non passeranno per suoi. Un transfert dannatamente mortale. Fino alla risoluzione conclusiva del fattaccio.


Se si lasciano da parte vicenda e realizzazione, effetti, recitazione e corpi massacrati (assurdi è quanto meglio li si può definire), il film è una ironica, personale e pungente riflessione metacinematografica. Fulci sembra dire a pubblico, produttori e critica: bene, dopo avermi sfruttato per anni, quando i miei generi erano in voga e riempivo le sale, ora mi avete abbandonato. Allora vi faccio vedere io. Per le riprese vado ancora a Cinecittà con un budget ridicolo. Giro in 16mm, ci do dentro di sangue e budella e mi prendo la mia personale rivincita. Dicendo un paio di scomode verità (dov'è la realtà? nell'allucinazione e nella televisione?) e continuando a sperimentare forme estreme. Tanto, come afferma in maniera beffarda tramite lo psichiatra/serial killer (il cui nome è tutto un programma: Egon Schwarz), la violenza che pervade gesti e comportamenti odierni è conseguenza della violenza dei film, di quanto il dottor Fulci ha fatto per anni. Capito dove si vuole arrivare? L’ultima soluzione è la fuga, su una barca chiamata Perversion. Riprendendo il parallelo iniziale, Lucio chiude i conti del suo cinema come Sam aveva fatto tramite il personaggio di Mike Locken/James Caan in The Killer Elite (1975).

3 commenti:

morris666 ha detto...

mi piacerebbe credere alla versione romantica del declino fulciano (l'orgoglio di continuare a girare filmacci trucidi e senza soldi). purtroppo sono più portato a pensare che il vero motore del suo lavoro "sporco" (dall'83 in poi) fosse il bisogno di soldi (il bisogno, non l'avidità).
comunque gli voglio bene lo stesso e riesco ad apprezzare anche i suoi film più scrausi ;)

ultramagneticglow ha detto...

anche io gli voglio un mondo di bene. :D

mah sai, il bisogno di soldi è ovvio se non ti fanno lavorare... o meglio, se non riesci a tradurre sullo schermo le idee che hai in mente. poi lui è stato cmq sempre molto 'sovversivo', persino quando faceva i film di franco e ciccio e lando buzzanca, figuriamoci con gli horror...

morris666 ha detto...

sì certo. ha sempre cercato di spingersi oltre il comune consentito.