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venerdì 26 settembre 2008

Il silenzio di Lorna


È vero, i film di Jean-Pierre e Luc Dardenne sono quasi tutti uguali. Per sensibilità, struttura, stile. Qual è il problema? Domanda che viene spontaneo porsi quando si esce – scossi – dalla visione della loro ultima opera, Le silence de Lorna (2008, insensato tradurlo nello sciatto Il matrimonio di Lorna - e sorvoliamo sul doppiaggio italiano). Che prosegue nello stesso pedinamento di personaggi e situazioni tanto drammatici quanto avvolgenti. Liegi è una città luminosa, dagli squarci romantici, eppure tremendamente opprimenti. I servizi funzionano: il divorzio è pratica rapida, la droga circola come se nulla fosse, la polizia è al servizio del cittadino, la sanità gratuita e assicurata. Non ci si crede ma acquisire la cittadinanza è un affare losco, un giro di quattrini che coinvolge italiani, valloni, albanesi, russi. Sono i disastri di una Europa unita soltanto sulla carta. E i soldi che passano di mano, in bustine gialle, tra auto e negozi, distruggono anime e vite.


Lorna è una ragazza albanese. Ha ottenuto la cittadinanza sposando per convenienza un giovane tossico belga, Claudy. Che cerca di uscire dall’eroina. Ma venirne fuori significa non poter restare vedova e risposarsi con un uomo russo, altri soldi da mettere sul conto bancario per aprire un bar con l’amato (?) fidanzato. Fabio organizza questa attività parallela, un taxista privo di senso e di scrupoli. Passano i giorni e Lorna si lega a Claudy. Non ha dimenticato di essere umana, donna. Si spoglia di tutto, dei vestiti, dei sensi di colpa, del proprio materialismo, della morale. Resta sola, con tre mariti in meno e un peso, che diventa man mano fede, speranza, fiducia, legame a qualcosa che non è mai esistito. Che forse esisterà, nel suo ventre, nella sua mente, nel suo futuro. Seduta su una panca trasformata in letto, in un bosco che è la sua nuova casa.

L’umanesimo dei fratelli Dardenne è sempre un pugno nello stomaco. Alle nostre certezze, alle nostre sicurezze, al nostro benessere, alla placida tranquillità borghese. Campi medi e lunghi, densi piano sequenza interrotti dai bruschi stacchi del montaggio. Una sceneggiatura che prende svolte improvvise e si sviluppa sotto la pelle dei protagonisti. Volti che attraversano lo schermo, lo squarciano, rimandano ad un fuori campo lacerato ed esasperante. Un pedinamento costante, sulle orme di Bresson e Rossellini. Alla ricerca di una fede smarrita, in un mondo lurido e insensato. Arta Dobroshi è un volto e un corpo meravigliosi. Jérémie Renier (Bruno dell’Enfant) un fantasma che si aggira tra stanze vuote e spazi ossessionanti. E quando di spalle si scorge il volto di Olivier Gourmet – commissario di polizia che indaga sulla morte di Claudy – il gioco di rimandi è completo. Le silence de Lorna si manifesta per quello che è: un film bellissimo e toccante.

lunedì 22 settembre 2008

Central Idiocy Agency. Burn After Reading


Un film sul nulla. Sul vuoto pneumatico che ci divora, che ci circonda. Burn After Reading (2008) è l’ultimo tassello di un universo a pezzi. Dominato dal nonsense e da una sceneggiatura tanto intricata quanto veloce e graffiante, l’ultima opera di Joel e Ethan Coen si consuma come un sacchetto di pistacchi. Col sorriso sulle labbra, col cervello che gode, con gli occhi languidi e una vocina nella testa che sui titoli di coda (occhio ai Fugs e alla loro CIA Man) urla «ancora! ancora!». D’altronde è difficile resistere al fascino cool di un cast che comprende John Malkovich, George Clooney, Tilda Swinton, Brad Pitt (mai così divertente!), Frances McDormand e J.K. Simmons.


Una commedia d’altri tempi, corrosiva e volutamente ingarbugliata. Proprio perché costruita su qualcosa che non esiste, di cui si preserva la memoria per un tempo limitato di cinque secondi. Passato il quale, ci si dimentica di tutto senza affatto pretendere di ricordare ciò di cui si stava parlando. E senza neanche pretendere di capire. Come fa il capo della Cia (splendido il volto attonito di J.K. Simmons), al quale viene esposto il fattaccio. Osbourne ‘Ozzy’ Cox è un analista dell’agenzia che viene deposto dal suo lavoro. Lui non ci sta e si licenzia. Sua moglie (fredda, stronza e spocchiosa) disapprova, lei che già da tempo se la fa con un altro essere piuttosto ambiguo, un tale che lavora per il Tesoro e nel garage di casa riproduce bizzarre macchine per il piacere. Quando Ozzy decide di scrivere un libro di memorie per scuotere il palazzo, il cd con tutto il materiale finisce perso in una palestra nella quale lavorano una donna ossessionata dal passare degli anni e da un corpo perfetto e un fantastico fesso (un buon samaritano…) che non si capisce per quale ragione, recuperato il dischetto, voglia ricattare Cox per farglielo riavere.


Una sceneggiatura sopra le righe e carica di assurdità dunque. Che è però il ritratto di un modo personale e anarchico di comprendere e rappresentare il mezzo cinema. Il Caso che regna su cause ed effetti. Ciò che alla fine rimane impresso nella nostra memoria è un mosaico di schegge: un nosferatu distrutto dall’alcol che esce di casa (una barca…) in vestaglia brandendo un’accetta; un idiota palestrato che pensa di fare un inseguimento in bicicletta; una maniaca della forma che crede il Muro di Berlino non sia ancora crollato (o al limite ci siano sempre i cinesi…); un impostore preda di pensieri paranoici; un sito per incontri che si chiama staywithme.com e un finto, plastificato re dell’insalata. Burn After Reading è il ritratto dell’idiozia del mondo di oggi.