find the path

martedì 22 febbraio 2011

Di uomini e lupi. Old Fangs


A volte dieci minuti bastano più di tante ore. Di tante immagini, di tanti suoni, di tante parole. Leggi Old Fangs e pensi ai Black Mountain. Non in questo caso. Leggi Old Fangs e vedi il cortometraggio animato di Adrien Merigeau. Presentato al Sundance Film Festival 2010, è una delizia per il cuore e per gli occhi. La vicenda è tanto semplice quanto illuminante: un giovane lupo trova in se stesso il coraggio per affrontare il proprio passato, suo padre. Un lupo immenso e oscuro che non vede da quando era bambino. I toni sono quelli della favola, i temi e i tempi sorprendono per l’aderenza naturista ed etica. La sacralità dei legami (persi) e il filo dei ricordi, il tempo che passa e fa mutare prospettiva su luoghi, sentimenti e persone. La vita scivola via come la cenere di una sigaretta mai fumata fino in fondo. Calde lacrime che restano sospese in uno spazio chiuso, asfissiante proprio come il tempo che scorre. E proprio ai rapporti tra persone si pensa guardando Old Fangs. Il cortometraggio è stato realizzato in collaborazione con Alan Holly e con il supporto della Irish Animation Arm Cartoon Saloon. Le musiche sono opera dei genitori di Merigeau.
…And out come the wolves.

mercoledì 16 febbraio 2011

«Voglio che il sole mi dia il benvenuto». Lo sceicco di Castellaneta


Incontenibile Giuseppe Sansonna. Dopo le sotterranee melodie di A perdifiato (2007, dedicato alla figura di Michele Lacerenza, storico compositore dell’assolo di tromba di Per un pugno di dollari di Sergio Leone) e lo spregiudicato ritratto a zona di Zemanlandia (2009, il profeta del pallone Zdenek Zeman come non lo avete mai visto), torna alla carica con Lo sceicco di Castellaneta. Chiusura del cerchio di un processo che ribalta il Meridione e lo porta ad essere protagonista assoluto di un intero immaginario. Prima la musica, poi il calcio, in questo caso il cinema e il divismo. Come in una fantasmagorica epica leoniana, il documentario di Giuseppe Sansonna scandaglia uno dei pochi, veri miti del Novecento: Rodolfo Valentino. E lo fa ripartendo da dove tutto ebbe inizio, Castellaneta.
Provincia di Taranto, terra bruciata dal sole e illuminata dal mare. Grandi canyon e paesaggi della mente che si aprono come voragini per un sogno tanto vicino quanto distante nelle possibilità, «uno scenario western prima che Hollywood inventasse il West». Le diaboliche mascalzonate adolescenziali, il retaggio avventuroso del brigantaggio, i toni kitsch e perversi del cattolicesimo meridionale. Tutto serve a plasmare la figura eccentrica e affascinante che ne forgiò il mito. Un misto di malinconia e tormento, frivolezza e seduzione, che incenerisce imperfezioni e particolarità (lo strabismo di Venere, i matrimoni falliti, la stimolante creazione intellettuale che ne ipotizza una sorta di precursore ante litteram del Neorealismo) grazie ad uno sguardo magnetico.


In parallelo all’ascesa del divo Valentino, la via che sprofonda verso il baratro folle di Antonio N., professione matto del paese. Che rivive pellicola per pellicola, sequenza per sequenza, L’aquila nera, Sangue e arena, Il figlio dello sceicco, I quattro cavalieri dell’apocalisse. Le spelonche carsiche diventano brumosa steppa, Versailles muta forma e appare spiaggia dove mangiare seppie crude annaffiate di birra, il vecchio frantoio si trasforma in alcova di piacere e seduzione. Tutto comincia con i tributi che il Dopoguerra scudocrociato dedica a Rudy, a partire dalla statua dell’«iconoclasta in pectore» Luigi Gheno: autore di una scultura orrenda, uno sceicco pop dagli occhi svuotati e assenti. Viene definito come il grande otre che contiene l’olio, il dono più prezioso. Un mostro «ustionato dall’altoforno spietato di Hollywood». Gualtiero Jacopetti ne approfitta e nel 1962 apre Mondo cane con un tango irrefrenabile e le immagini dell’inaugurazione di quest’opera che fanno circolare una galleria di freaks grotteschi e compiaciuti. Impomatati e languidi proprio come Rodolfo, per questo ancor più incredibili.


Numerose le testimonianze che emergono dal sottobosco di Castellaneta. Spicca la lucida, sbalorditiva schiettezza di Maria Rosaria Ranaldi, 97enne benzinaia del paese. Il biker Pasquale dà interpretazione cromata e rombante del mito. Cosimo Fungoso, Presidente dell’Associazione Internazionale Arte e Cultura Rodolfo Valentino, si fa promotore di un’idea folle e visionaria che invitiamo a scoprire nella visione. Completano il quadro un uso sapiente del bianco e nero nelle ricostruzioni labirintiche di Antonio e le suggestive musiche morriconiane di Pippo Foglianese. Una ricognizione brillante e quanto mai attuale su divismo, sogni e desideri, aspirazioni e fallimenti. La contrapposizione tra chi «si erge fallico» e chi esibisce ambiguità ed intelligenza è, nell’anno di (dis)grazia 2011, quanto mai attuale.

venerdì 11 febbraio 2011

They’re coming for you, Uxbal. Biutiful


Un’ombra minacciosa si aggira per le ramblas di Barcellona. È quella di Uxbal, protagonista di Biutiful. Nel film di Alejandro González Iñárritu, il primo senza Guillermo Arriaga a dettare i tempi della sceneggiatura, il personaggio interpretato da Javier Bardem riempie della propria ingombrante presenza quasi ogni singola inquadratura. Padre di due bambini di cui si occupa al posto della moglie, una sorta di mutante bipolare, traffica in uomini e topi nel tumultuoso caos catalano. Nonostante abbia il potere di comunicare con i morti ed aprire loro le porte dell’hereafter, scopre di avere un tumore e comincia a temere per il futuro dei suoi figli.


Non sembra, eppure Biutiful è uno zombie movie. Per vari motivi. Innanzitutto perché Uxbal è già morto. E parla con i morti. Da cadavere ritorna. Si aggira per strada barcollante e dubbioso, divora i pasti con i modi bruschi del bisogno innato e animalesco, educa al rigore e al risparmio. Non accetta intromissioni nel privato. È morto. E scopre che per essere abbattuto non c’è bisogno di un colpo in testa. Basta una pisciata rosso sangue. L’horror(e) che travolge, perché Iñárritu spia dal buco della serratura il globalismo, cercando in tutti i modi di nutrire un comune senso di colpa. Per cosa, non si capisce bene. Trionfa un certo compiacimento. Si affastellano temi su temi, in maniera a dir poco confusa: l’economia che si allarga senza diritti e protezioni, lo sfruttamento, venditori africani e operai cinesi, omosessualità ad occhi a mandorla, schizofrenia e violenza domestica, polizia corrotta, incesti famigliari, e chi più ne ha più ne metta. Il tutto senza quasi mai sporcarsi le mani, lontano dalla gente comune che vorrebbe sbattere sullo schermo. Tanto meglio la buona e ricca borghesia, quella americana che andava in vacanza in Marocco o quella giapponese che trafficava in armi. Semba di assistere ad un confuso quadro metropolitano, come se Amir Naderi invece di Kafka avesse scelto Roberto Saviano come riferimento culturale.


Dunque cosa resta? Risposta semplice: una regia che aiutata da montaggio, suoni e musiche, pur abusando di camera a mano, si concede agli spazi, ad alcuni abbaglianti campi lunghi, ad improvvise aperture visionarie (il dialogo con i bambini morti; i cinesi asfissiati e le larve che si agitano sul soffitto); il volto pietrificato e fisso di Javier Bardem; la meravigliosa accoppiata di naso e tette di Maricel Álvarez; squarci suggestivi di una Natura che appare e scompare al cospetto di una Barcellona sporca, affascinante e notturna. Poco, purtroppo. Istanza sociale e redenzione privata potevano essere più biutiful.

mercoledì 2 febbraio 2011

OFF TOPIC Le allodole del sesso: la visione della figa da lontano. Sempre vostro Cicco Peppe


Ricevo lo sfogo dell’amico e sodale Giuseppe De Cicco e pubblico.

La visione della figa da lontano, citazione tributo omaggio agli Elii. Ma anche consapevolezza del fatto che usando la magica parola “figa” si hanno molte più chance di essere ascoltato, qui come in qualsiasi altra parte del mondo “civile”. Perché in questo momento, in questo paese, sulla bocca di chiunque, umana o virtuale che sia, non si scappa dal binomio figa-potere. È talmente sulla bocca di tutti, si parla talmente tanto di old man enjoying huge bombs and young pussy... O di horny old man is fucking a gorgeus young girl, da rimpiangere quasi quelle belle vecchie bigotte riserve mentali sul sesso e i suoi derivati, quando il “cazzo” era tabù. Non erano belli i tabù?


Tuttavia, al di là dei "cazzi", torniamo alle considerazioni politiche inattuali. Ci stiamo concentrando sui vizi del re nudo. Noi, i mezzi di informazione, addirittura la magistratura, l’unico potere italiano che ha fatto e fa tremare i palazzi del potere. Perché l’Italia è l’Italia… Non esiste corrispettivo nel resto del mondo e anche le “rivoluzioni” si fanno dall’alto, non certo dal basso. La magistratura tra tanto torbido, tra tanta merda che galleggia («E se teniamo la bocca bene aperta forse riusciremo ad ingoiarla tutta!»), ha deciso di giocare la sua partita fondamentale sullo scandalo sessuale. Notare bene che ai tempi della Prima Repubblica la partita fondamentale si giocò sulla corruzione e sul finanziamento illecito; fenomeni emersi nel 1992 ma praticati e conosciuti da sempre, regole non scritte di un sistema quarantennale, scandalo usato come mannaia al momento giusto, quando il “vecchio” doveva fare spazio al “nuovo” perché il sistema era al collasso e i partiti non servivano più. Il muro era caduto ed era diventato la lapide del comunismo. Se ai tempi la corruzione era sufficiente a far tremare il sistema dalle fondamenta, oggi si è scelta – da sottolineare la parola scelta – la mannaia dello scandalo sessuale. Forse sarà anche vero che “a ognuno il suo” ma se per cambiare si ha bisogno di fare salotto sulle perversioni di Cesare e del Fido Emilio… Beh, la tristezza è totale nella miseria del momento.


L’Italia è un paradiso abitato da diavoli. O forse sarebbe più corretto dire che l’Italia è un PARADOSSO abitato da PIPOLI [per chi non conoscesse la parola “pipolo” vedere vocabolario avellinese]. La situazione economica è disastrosa, con prospettive di crescita pari a zero e un mercato del lavoro che fa spavento. Non ci vuole un grande economista per capirlo. Una notte che non sembra mai finire: fuga di cervelli, cementificazione selvaggia, piccoli e grandi scandali che spuntano da un tappeto che non riesce più a nascondere tutta la sua monnezza. Si parla delle scopate di Berlusconi ma non si organizzano palinsesti televisivi sulla scopate di Santa Romana Chiesa, sui vizi degli adepti più sinceri e sulle coperture dei vertici. Chi in Italia avrebbe la “forza e curaggio” [per chi non conoscesse la “Forza e Curaggio” vedere vocabolario beneventano] di inadgare sui vizi dei vertici di Santa e Romana?


Nelle scuole si insegna ancora che abbiamo uno stato fatto di potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Per onestà intellettuale bisognerebbe dire che in Italia per precise scelte politiche dettate dell’instabilità di una guerra mondiale finita e di una guerra fredda alle porte, si è scelto di suddividere il potere al fine del mantenimento dello status quo tra Chiesa-Poteri Economici più o meno occulti e Stato, che a sua volta è fatto di esecutivo, legislativo, giudiziario e mafioso. Si lascia in pasto ai cervelli più pigri l’idea della lotta all’antistato... Come gli americani all’inizio degli anni novanta davano in pasto all’opinione pubblica l’idea della lotta al sistema mondiale della droga.
Lo stato adopera il suo braccio armato, le mafie, quando è messo alle strette, quando pezzi di scomode verità potrebbero emergere, riscrivere la storia ed essere insegnate, studiate, ricordate e di cui qualcuno potrebbe servirsi per chiedere conto quando i conti non tornano. Per poi dire ai cervellini troppo piccoli, ai cervellini troppo pigri, ai cervellini tropo veloci [100 punti a chi coglie la citazione Ndr]: «le mafie hanno fatto questo, noi puniremo le mafie». Ecco allora i Riina e i Ciancimino. Sarebbe simpatico domandare ad un uomo di mafia (un uomo di mafia col cervello, un Pippo Calò o un Bernardo Provenzano): perché vi umiliate così, perché siete diventati i servi dei servi dello stato? I soldi e il potere che ne deriva, quel pezzettino di torta a cui siete stati ammessi per gentile concessione del padrone, varrà mai la dignità che avete perso? Non siete stufi di essere i trofei dei vari Maroni che nel momento del bisogno vengono a prendervi e vi sacrificano a comando? Perché accontentarvi dell’elemosina quando si può rubare direttamente in chiesa?


Ad intermittenza si parla del problema rifiuti a Napoli. Giustamente. Senza però chiedere conto ai pezzi dello stato che tramite le mafie hanno costruito autostrade di spazzatura in Africa per aiutare lo smaltimento di multinazionali di mezzo mondo. Grandi imprese eternamente in debito con lo stato italiano ed il suo braccio armato. Ce lo insegna l’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi, vicenda su cui lo stato, appunto lo stato, tace. Da anni. Allo stesso modo in pochi hanno aperto spiragli di chiarezza sulla strage di Piazza della Loggia, il primo atto della stategia della tensione. Dopo 36 anni tutti assolti. Quasi 300 morti e 800 feriti per 15 anni passati alle cronache come anni di piombo. Se per tanti ragazzi i libri di storia sono troppo noiosi perché spesso chi conosce i fatti non è detto che li sappia anche raccontare, basta guardare Il Divo di Paolo Sorrentino. Nel novembre 2010 i giudici della Corte d’assise hanno concluso il processo con assoluta indeterminatezza e nessuna condanna. Non si è sentito alcun Fini o Di Pietro o Napolitano parlare di questa sentenza. Pochi giornali hanno affrontato seriamente l’argomento; la stessa magistratura ha fatto poco.


Siamo sazi di sentir parlare di Berlusconi e di sesso e di quella che è l’attuale situazione italiana. Si dimentica che potere e sesso squallido esistono da sempre, anche prima di Berlusconi e sicuramente anche dopo. In Italia ma non solo. Sono un binomio vincente. La parola 'attuale' con la parola 'politica italiana' non ha senso perché in Italia la giornata di ieri è da sempre quella di oggi e sarà sempre quella di domani. Perché per citare le parole di un amico «il belpaese vive in un eterno presente».
Chiedo a me stesso, alla città e al mondo che quando la punta dell’iceberg verrò spezzata e cadrà, e cadendo andrà tristemente alla deriva fino a scomparire lentamente; quando la finiremo di parlare, indignarci e bestemmiare sulle perversioni di un uomo malato [a voler precisare, il punto più alto – o meglio, meno squallido – tra tutto il vociare che si sta facendo sul sesso e sul sesso di Silvio, è la lettera della moglie pubblicata da Repubblica: oltre a dire tutto, Veronica Lario lo dice con grande forza e umana dignità, e forse ci saremmo dovuti fermare a quello...]; quando tutto questo passerà, avrete la forza di concentrarvi sul resto e di chiedere conto di tutto. Pretendendo ciò che vi spetta, consapevoli che il berlusconismo non cadrà con la sua testa come il fascismo in Italia non è finito legato ai piedi del duce a Piazzale Loreto.
Lo scrive una persona pigra oltre che brutta, a cui dell’Italia non fotte un cazzo e che non farà un cazzo per l’Italia. Una persona stufa di vedere tutti diventare allodole ed abbocare allo specchietto.

Un ringraziamento a John Carpenter, Sarah Lucas, i cani vogliosi, Malleus Rock Art Lab, le targhe americane e agitazioni per i contributi audiovisivi.