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giovedì 30 dicembre 2010

Night Terror by Guy Maddin. O del perturbante.


C’è del marcio in Canada. A Winnipeg per la precisione, tra i grandi laghi di Manitoba. Le “muddy waters”. A narrarne le gesta il cinema del perturbante. Ovvero monsieur Guy Maddin. Occhio instancabile e curioso, con ironia e grande senso dell’umorismo ci trascina in uno spettacolo d’altri tempi, dove Luis Buñuel e Fritz Lang giocano a carte con David Lynch e Tod Browning mentre Leni Riefenstahl prepara loro un caffè. La tragedia che si abbatte sul mondo. L’amore, la competizione, il sacro e il profano.



Bianco e nero frenetico (o il colore “finto” di Sombra dolorosa), montaggio “neurotico”, musiche (in)calzanti, un cinema impossibile. Tutto sintetizzabile come una droga, il “gaddinesque”. “L’inutilità della parola e l’equilibrio temporale dello sguardo”, parola di Pier Maria Bocchi. Un pugno di film, cortometraggi, pubblicità, video, esperimenti (extra)materia. Rumori fuori campo, rapporti che si sgretolano e si rinsaldano, come in un balletto meccanico. Costruttivista? Magari sulle sponde di un lago, in attesa di un ritorno.



Un piacere per l’affabulazione che si sposa con toni surreali e da black comedy. La vita nella sua totale assurdità. Dai tempi di The Dead Father (1986) e Tales from the Gimli Hospital (1988) a quelli di Archangel (1990), Twilight of the Ice Nymphs (1997) e Dracula: Pages from a Virgin's Diary (2002) si inseguono gli spettri della guerra, la re-invenzione dei miti di un intero immaginario, un universo popolato da femme fatale e corpi in continua mutazione/evoluzione.


La collaborazione con Isabella Rossellini porta in dote al regista canadese il bizzarro, stupefacente, anarchico The Saddest Music in the World (2003) e l’affettuoso My Dad Is 100 Years Old (2005). La nostalgia ammanta Brand upon the Brain (2006) di un candore angoscioso, il ritorno all’infanzia che si fa pressante anche nel successivo My Winnipeg (2007). Ultimo in ordine di tempo, Night Mayor (2009). Presentato al Festival di Toronto, è la storia dell’inventore di origine serba Nihad Ademi. Un uomo osteggiato dalle autorità perché ideatore, con i propri figli, del Telemodium. Un apparecchio che sfruttando la potenza delle aurore boreali di Winnipeg, anno 1939, trasmette in tutto il Canada "every day life for every day people”. Un magma di luci, rumori, immagini e suoni che arrivano nelle teste dei cittadini e vengono rielaborati, filtrati, sminuzzati, deglutiti. Una televisione organica per produrre nuove immagini. Nuova carne. Ademi, aurora, nightmare… Nightmare of Winnipeg!

lunedì 27 dicembre 2010

Dai, Walter. Ultimo minuto





1963. Vittorio Gassman che osanna Pedro ‘Piedone’ Manfredini, storico attaccante della Roma dal 1959 al 1965. Mitico il film di Dino Risi I mostri. Perché il calcio è da sempre croce e delizia dell’Italia, l’unica nazione con 60 milioni di allenatori. Tuttavia, nonostante passioni e clamori, il cinema raramente ha rappresentato con efficacia il mondo del pallone.
1987. Pupi Avati è reduce dal successo di Regalo di Natale e decide di cambiare completamente registro. L’autore bolognese ha affrontato da sempre tutti i generi: l’horror del capolavoro La casa dalle finestre che ridono e Zeder, la commedia grottesca con La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone e Bordella, la sua passione per il jazz con Jazz Band. Nel 1986 collabora con i giornalisti sportivi Italo Cucci e Michele Plastino e realizza Ultimo minuto. Uno dei pochi film sul calcio, forse il solo film sul calcio capace di anticipare gli scandali, i retroscena, le verità, lo squallore dello sport più amato dagli italiani.

Protagonista del film è uno straordinario Ugo Tognazzi, nelle vesti di Walter Ferroni, direttore sportivo di una piccola squadra di provincia che sopravvive alle insidie economiche della serie A. Il nuovo presidente Di Carlo (interpretato dal volto avatiano di Lino Capolicchio) porta una nuova gestione, più spregiudicata, che non contempla i metodi di Ferroni. Il quale è allontanato dalla società, seppure continui a seguirla. I cambi di direzione, allenatori, giocatori non portano risultati, anzi. La presidenza richiama il vecchio direttore, sperando in una miracolosa salvezza. Che arriva appunto all’ultimo minuto, grazie al gol del giovane Paolo Tassoni, ragazzo della Primavera scoperto dall’osservatore Duccio (Diego Abatantuono, lanciato nella carriera drammatica proprio da Avati in Regalo di Natale) e fatto entrare in campo al posto del capitano Boschi (Massimo Bonetti), caduto nel vortice del calcio scommesse e ora inviso anche agli occhi di Marta, figlia di Ferroni innamorata di lui (una giovane Elena Sofia Ricci).


La cosiddetta cupola di Moggi e degli arbitri compiacenti è ancora lontana. Le partite vengono mostrate poco da Avati, tanto che non è mai citata la città della squadra in campo, seppure il colore di maglia bianco rosso e lo stadio indichino chiaramente Vicenza. L’azione è tutta nei gesti di Ferroni: una vita dedicata al calcio, dal lavoro agli affetti. Le ferite del pallone sono vive e pulsanti, la malinconia tipica del cinema di Avati ammanta l’atmosfera torbida del calcio di provincia, tra allenatori incapaci e giocatori venduti, innocenza e malcostume. Prima dei grandi capitali, degli acquisti folli, delle quotazioni in borsa, ci si poteva ancora permettere di gestire una squadra in serie A con metodi spiccioli e quasi dilettanteschi. Tutte le componenti del calcio sono gettate nella mischia, compresi i procuratori, i tifosi, i giornalisti. In questo senso portare sullo schermo anche Aldo Biscardi sa molto di preveggenza per quello che sarà il futuro del nostro pallone.

Il film fu un flop commerciale, a testimoniare la difficoltà del cinema – in particolare italiano – nel rappresentare il calcio. Tuttavia Ultimo minuto è un film rimasto nel cuore e nelle menti degli appassionati di sport e di cinema. Complici anche le musiche di Riz Ortolani e una sceneggiatura lucidissima e nostalgica. Come ha dichiarato Italo Cucci, il personaggio di Walter Ferroni fu ispirato «in parte alla figura di Italo Allodi e in parte a quella del primo Luciano Moggi». Segno di un calcio affarista e traffichino, che cambia rimanendo uguale a se stesso.