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lunedì 31 gennaio 2011

El pozo. Il Messico secondo Guillermo Arriaga


C’era una volta il Messico di Sam Peckinpah, doloroso e orgoglioso, sporco e tenace. Più vero del vero. E c’era il Messico di Luis Buñuel, quello feroce del grande teschio che partoriva figli dell’inganno e della violenza. In pochi hanno viaggiato nel Messico di Emilio “El Indio” Fernández. Uno che nel 1946 vinceva la Palma d’oro al Festival di Cannes con un film sconvolgente come Maria Candelaria (1943). Per tanti è stato il mefistofelico Mapache nel Mucchio selvaggio (The Wild Buch, 1969) o la figura mitologica del fazendero El Jefe nel capolavoro Voglio la testa di Garcia (Bring Me the Head of Alfredo Garcia, 1974). Come dargli torto…



Da qualche anno è Guillermo Arriaga a infuocare gli animi dei cinefili con Quetzalcoatl nel sangue. Prima in qualità di sceneggiatore di fiducia di Alejandro González Iñárritu, poi come regista (The Burning Plain, 2008). Per Iñárritu rimangono impressi nella mente i meccanismi ad orologeria, le geometrie universali, le realtà frammentate e dominate dal “caos lineare” di Amores perros (2000) e Babel (2006). Meno il pasticciato ed estetizzante compiacimento di 21 grammi (21 Grams, 2003). Il capolavoro è la sceneggiatura scritta in punta di penna per l’esordio alla regia di Tommy Lee Jones Le tre sepolture (The Three Burials of Melquiades Estrada, 2005), uno dei film più belli degli ultimi dieci o quindici anni. Sintetizza tutto al meglio il solito Valerio Caprara: «La forza allucinatoria dei corruschi paesaggi, l’incisiva essenzialità delle recitazioni e degli episodi di contrappunto e l’equilibrio con cui è giocato l’elemento grottesco (i colloqui di carceriere e carcerato con le fattezze del povero messicano in disfacimento) conferiscono all’opera prima di Tommy Lee Jones il nitore dei western di ultima generazione, rimpiante pietre miliari di un cinema che non voleva parlare solo a se stesso».
Prossima sceneggiatura sarà quella di The Tiger, previsto per il 2012 e tratto da “The Tiger: A True Story of Vengeance and Survival” di John Vaillant. Per la regia di Darren Aronofsky, protagonista Brad Pitt. C’è da tremare. Nell’attesa, è essenziale una piccola perla uscita stavolta in punta di macchina da presa. El pozo. Il pozzo. Cortometraggio che è parte del progetto 13 formas de amar a mi México, 13 corti commissionati a registi e sceneggiatori da TV Azteca. Un racconto duro, drammatico, polveroso. Allevatori di capre e contadini, banditi a cavallo e bambini. Il deserto del Coahuila nel 1914 fa da sfondo a questa vicenda di amore e coraggio. Della Rivoluzione importa poco o nulla. Della sofferenza di Quique siamo complici. Oltre che vittime e responsabili.

martedì 18 gennaio 2011

Fu così che Dio sbatté contro un muro. Big Bang Big Boom


È un periodo che si fa un gran parlare di Banksy. Merito delle sue folli, illuminanti provocazioni. E anche di uffici stampa sempre più efficaci. Detto questo, per meglio comprendere le logiche e il senso delle incursioni dello street artist inglese, ci vengono in soccorso il bel libro di Sabina de Gregori Banksy il terrorista dell’arte (Castelvecchi Editore, 2010) e il documentario attribuito allo stesso Banksy Exit Through the Gift Shop (2010), presentato al Sundance Film Festival del 2010.


Per una volta è doveroso abbandonare l’esterofilia e tornare in Italia. Niente Puffi o Na’vi, per tingersi basta Blu. Street artist bolognese che usa un metodo tanto “facile” quanto sconvolgente: applicare l’animazione in stop-motion al graffito. Un lavoro che si dipana in modo parallelo tra carta, muri e schermi, dagli schizzi alle pareti. Schizofrenia del pensiero e della rappresentazione, pennelli, rulli e carrellate veloci che si trasformano in bocche da fuoco fenomenali.
A partire dal suggestivo ed emblematico Muto fino alla splendida collaborazione con David Ellis di Combo. Una forma di comunicazione e rappresentazione visiva “altra”, quasi aliena perché fin troppo specchio deforme (uniforme?) della realtà. Unico mezzo per scendere in strada e urlare rabbia e ragione, da Varsavia a Los Angeles, da Milano a Mosca, da Barcelona a New York, da Berlino a Lisbona. Ultimo in ordine di tempo – presentato al Festival di Clermont-Ferrand – Big Bang Big Boom. Ovvero come sia nata la vita e quale sia la sua evoluzione. Seguendo flussi, tubi, granchi, esseri voraci, cumuli, uova che si schiudono e una fine ineluttabile, impossibile non pensare all’animazione sperimentale di un genio come Zbigniew Rybczyński. Anno di grazia 1975: quanto ancora stupisce il sublime Oh, I Can’t Stop! (Oj! Nie moge sie zatrzymaci!).
Ipertrofia della visione che non riesce mai a fermarsi. Per andare avanti ancora e ancora ancora ancora ancora ancora ancora ancora ancora ancora…