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venerdì 28 maggio 2010
E le tenebre calarono su Roma: Fanta Festival 2010
È iniziato giovedì 27 maggio il Fanta Festival di Roma, Mostra Internazionale del Film di Fantascienza e del Fantastico. Edizione numero 30 aperta martedì 25 al cinema Embassy con la proiezione in 3D di The Hole di Joe Dante e presieduta dagli ospiti d’onore Roger Corman, Daria Nicolodi, Asia Argento, Lamberto Bava, Domiziano Cristopharo e Marco Werba. Una mega maratona tra fantascienza, horror e tutte le declinazioni del fantastico che si concluderà domenica 6 giugno e passerà tra Embassy, Nuovo Cinema Aquila e Sala Trevi. Giovedì 27 l’emozione è stata tanta: dalla sua Factory il mito Roger Corman. Breve incontro e proiezioni di tre suoi capisaldi: L’uomo con gli occhi a raggi X (X: The Man with the X-Ray Eyes, 1963), I maghi del terrore (The Raven, 1963) e Il pozzo e il pendolo (Pit and the Pendulum, 1961).
Nutrita e ricca di chicche anche la retrospettiva dedicata a Ray Harryhausen, produttore e creatore di fantasmagorie eccezionali sul grande schermo. Sarà occasione per (ri)scoprire gioielli spesso dimenticati quali Il risveglio del dinosauro (The Beast from 20.000 Fathoms, 1953 – l’ideazione di Godzilla e della stop motion), la versione colorizzata di La Terra contro i dischi volanti (Earth vs. the Flying Saucers, 1956), Il mostro dei mari (It Came from Beneath the Sea, 1955), L'isola misteriosa (Mysterious Island, 1961) e Scontro di titani (Clash of the Titans, 1981).
Numerose e ghiotte le anteprime. A partire da sabato 29: maratona Dario Argento con Giallo (ancora senza distribuzione, nonostante un cast che comprende Adrien Brody e Emanuelle Seigner), Tenebre (1982) e Trauma (1993). Lunedì 31 sarà la volta di Saw IV e soprattutto di La horde di Yannick Dahan e Benjamin Rocher: presentato come evento speciale alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia del 2009, la pellicola è uno zombie movie che guarda al disagio delle banlieue parigine e alle classiche avventure di buoni & cattivi uniti dall’esclusione sociale.
Altro evento imperdibile il primo giugno con Survival of the Dead del maestro George A. Romero, sesta parte della saga dei morti viventi tra consueti affondi alla società americana, rimandi western, sarcasmo irriverente ed istinti di morte che esplodono.
Da segnalare il comparto delle serie televisive presentato dal Fanta Festival: V-Visitors (venerdì 28); i televampiri di True Blood, Blood Ties e Vampire Diaries (sabato 29); il reboot della serie cult The Prisoner (domenica 30); la mini serie sci-fi The Lost Room (lunedì 31); vecchi episodi autoconclusivi tra itinerari nel gotico e nella fantascienza di FantaRAI e racconti del brivido di HammerTV, con in più l’anteprima di House of the Flesh Mannequins di Domiziano de Cristofaro.
Infine “brividi italiani” al Cinema Trevi dal 3 al 6 giugno grazie a maestri del calibro di Mario Bava (La maschera del demonio, 1960) e Camillo Mastrocinque (La cripta e l’incubo, 1964), oltre a (s)cult nostrani quali Camping del terrore (Ruggero Deodato, 1987) e 7, Hyden Park - La casa maledetta (Alberto De Martino, 1985). Per il programma completo: www.fanta-festival.it.
Che i Diafanoidi possano (ri)condurci su Marte.
giovedì 27 maggio 2010
Strani giorni per i vampiri. Near Dark
Prima di Twilight e della saga di New Moon, prima dei vampiri belli e non più dannati, prima di True Blood, The Vampire Diaries, Supernatural e compagnia televisiva, c’è stata lei. Kathryne Bigelow. Prima di Blue Steel e Point Break c’è Near Dark (Il buio si avvicina). È il 1987 e la giovane regista americana butta giù un copione a quattro mani con Eric Red, già autore del cult horror The Hitcher (1986) e poi dietro la macchina da presa per il meraviglioso (e purtroppo dimenticato) Cohen and Tate (1988, passato in Italia come Le strade della paura). L’horror vive un periodo particolare: Romero è nella fase melodrammatica di Monkey Shines, Carpenter è avvinghiato nella telecrazia anarchica di They Live, Cronenberg lacera la nuova carne della mosca e degli inseparabili Jeremy Irons e Jeremy Irons, il terrore nostrano rantola tra gatti nel cervello e corvi all’Opera. È così che la Bigelow ha un’idea diversa dal solito per il suo primo film: ambientare una classica storia di vampiri con protagonisti adolescenti, belli e dannati, sotto il sole cocente dell’Oklahoma.
Caleb è un belloccio dall’animo ruvido e al tempo stesso gentile: il suo miglior amico è un cavallo. Una sera incontra l’affascinante Mae e per sedurla fa di tutto, compreso donarle il suo collo. Senza sapere che la ragazza è una vampira e fa parte di una stramba combriccola composta da una coppia, Jesse (splendido il volto solcato dalle rughe di Lance Henriksen) e Diamondback, da un sadico sudista psicopatico di nome Severen (un poco credibile Bill Paxton) e da Homer, uomo nel corpo di un bambino. Caleb non vuole uccidere per sopravvivere e soddisfare la propria sete di sangue. Deve farlo quando è rapito dai cinque e costretto a battere le polverose strade degli States in cerca del sacro nettare rosso. Solo l’amore potrà salvare la sua anima, ricondotta sul sentiero della giustezza dalla presenza del padre e della sorellina Sarah, in viaggio sulle sue tracce.
Un intreccio piuttosto banale, condotto con superbo polso narrativo e condito da qualche dialogo illuminante. La Bigelow declina al maschile la classica storia d’amore impossibile, immerge il vuoto ed il buio interiore dei personaggi nell’afosa calura del Texas, gira pagine memorabili di grande cinema quando evoca il primo bacio di Caleb e Mae con un ralenti da brividi e assedia il cerchio dei freak in un motel con la sapienza di un western d’antan. Pulsioni sessuali e voracità di stomaco sono tenute a freno, ci sono altri legami da conservare. Istinti che si gonfiano di paure ed ossessioni, tra tentazioni melodrammatiche e debordanti deflagrazioni action. Un talento visivo straordinario, immerso in luci tipicamente eighties ed imperniato sulla condizione disagiata dell’emarginato, differente per status sociale e scelta etica. Near Dark è anche questo: il corpo del cinema che muta, che ha bisogno d’amore, sangue e violenza per il suo solo scopo. Sopravvivere.
Lasciatevi accecare dalla notte. La sentite? Sarà bellissimo.
martedì 4 maggio 2010
Ci conosci. E noi conosciamo te. Vendicami
Tra Sam Peckinpah, Jean-Pierre Melville, John Woo e Tsui Hark, c’è soltanto Johnnie To. Regista unico per la purezza della sua macchina da presa, occhio che svela traiettorie impossibili (quelle dei proiettili che squarciano corpi e affondano anime) e tortuosi percorsi personali (quelli di estranei che diventano fratelli). Vendicami (Fuk sau, 2009) è la sua ultima opera, presentata al Festival di Cannes 2009 e solo nel maggio 2010 distribuita in Italia da Fandango (nonostante sia stato premiato con il Leone Nero come miglior film al Noir Film Festival di Courmayeur). Un’idea di cinema purissima quella di Johnnie To, che sceglie come protagonista della vicenda il volto di pietra di Johnny Hallyday. Non è un caso che il personaggio interpretato dal rocker francese si chiami Costello, come il Frank “faccia d’angelo” di Melville, Jef le samouraï che fu la faccia malinconica e solitaria di Alain Delon (proprio lui chiamato in origine da To per il ruolo del padre in cerca di vendetta).
Solitudini che si incontrano tra Parigi, Macao e Hong Kong. Senza ritorno. Costello vede la sua famiglia distrutta nel giro di un attimo. Neanche il tempo di un pranzo e tre killer uccidono suo genero e i due nipotini. Non potevano fare altrimenti. La figlia è salva per miracolo. E chiede vendetta. Fino a che punto può arrivare un uomo per soddisfare questa sete? La risposta è nel percorso di purificazione che compie. Prima tappa Macao, per assoldare tre killer spietati, i migliori. Kwai (superbo come sempre Anthony Wang), Chu e ‘Fat’ Lok. «Non esiste solitudine più profonda del samurai, se non quella della tigre nella giungla». Non esiste legame più solido di quello che si viene a creare tra persone che si sono date la loro parola. Sembra di vedere Pike e Deke: «Ha dato la sua parola. Non importa a chi». «Invece importa!». A costo di mettersi contro il proprio capo, il mandante della strage. I tre da braccare sono a Hong Kong. La sparatoria a sette nel bosco è un concentrato di furia visiva da mandare a memoria. Così come la tavola imbandita che scandisce ogni singola azione del gruppo. A riprova della vecchia, consumata, piacevole ossessione che il cinema asiatico (quello di To in particolare) ‘nutre’ verso il cibo.
Un paradosso è la vera natura di Costello: è un cuoco, non tocca una pistola da vent’anni. Perché in passato è stato un killer. Una pallottola gli è entrata in testa e gli causa continue perdite di memoria. Può in tal modo la vendetta avere senso? Certo, finché davanti l’obiettivo passano cubi di spazzatura in un cimitero di oggetti, assurde polariod, occhi languidi, lampi improvvisi di una ‘gunfight’ infinita. Un lirismo dolente e ironico, che si stempera in quattro calci dati ad un pallone in compagnia di un branco di bambini ed in una risata sardonica, liberatoria, davanti ad una ciotola di riso. La pioggia continua a cadere, le nuvole profonde lasciano campo ad una splendida luna, luci ed ombre come i buchi che si riempiono di sangue. Quiete e movimento. Uno spazio colmo di corpi che incarnano un’etica profonda. Quasi impensabile al giorno d’oggi. Come i ralenti che dilatano il tempo e inneggiano ad una notte infinita.
Meraviglioso, folle Johnnie To.
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