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lunedì 23 novembre 2009

Il cinema folle ed estremo di FFC: Tetro


Oscuro, buio, opaco, tetro. Tetro come Tetrocini: Carlo, Alfredo, Angelo, Bennie. Una famiglia nella quale i segreti si mescolano agli affetti, i risentimenti e la generosità alla competizione, alla rivalsa e al distacco. Ritorno in grande stile di Francis Ford Coppola dopo il complesso, ispido, a tratti irrisolto Youth Without Youth (Un’altra giovinezza, 2007). Un ritorno che è anche un tuffo in ciò che è stato prima di successi, turbamenti e fallimenti: il cinema puro e incontaminato di The Rain People (Non torno a casa stasera, 1968) o del progenitore diretto Rumble Fish (Rusty il selvaggio, 1983), ricco di sperimentazione, svincolato da qualsiasi tipo di calamita spettacolare. Grado zero della poetica coppoliana, come il bianco e nero fulgido che domina la pellicola.


Tetro (Segreti di famiglia) è l’odissea famigliare che trapassa tre generazioni. Angelo Tetrocini detto Tetro (il volto squadrato e impenetrabile di Vincent Gallo) è uno scrittore in piena crisi, trasferitosi in Argentina per ritrovare (o perdere) sé stesso. Suo padre Carlo è un geniale direttore d’orchestra, sebbene abbia sottratto questo incredibile talento al fratello Alfie (meravigliosi i due interpreti: Klaus Maria Brandauer & Klaus Maria Brandauer). Recriminazioni e ossessioni che ritornano con l’arrivo di Bennie (Alden Ehrenreich), giovane marinaio che darà una svolta improvvisa a passato, presente e futuro. Come una luce che abbaglia, squarcia un velo e acceca una intera esistenza.


Nonostante i toni intimi, quasi sommessi, l’epica dinastia di Tetro si nutre di un cinema libero e selvaggio, ironico e autobiografico. Il bianco e nero, i quartieri popolari di Buenos Aires, le squallide eppure vive (e improvvisate) rappresentazioni teatrali, il viaggio in Patagonia, personaggi strambi che invadono la scena (su tutti, la critica Alone incarnata da una superba Carmen Maura) sono pezzi di un immaginario folle, bizzarro, delizioso. È il cinema che si (dis)fa, a volte ipocrita e falso (il premio letterario e il suo teatrino di gala, schermi riflettenti e paillette), a volte abbagliante e necessario per ricomporre un vortice che è percorso di una vita intera. È così che inaspettati arrivano flashback dove il colore esplode e nasce il melodramma, la fantasia; in quell’angolo dove Powell e Pressburger costruiscono e mettono in scena le loro Scarpette rosse.


Perché come ha affermato lo stesso Coppola, «nulla di quello che avete visto in questo film è veramente successo. Ma è tutto vero». Come è vero che Tetro è stato scritto, diretto, prodotto e distribuito negli Usa (in Italia da Bim, un applauso) dal regista. Dopo anni di sacrifici economici, fallimenti, progetti abortiti, Tetro rivive come una rinascita dal basso. La politica degli autori torna prepotente a riaffermare con il suo miglior interprete il primato ed il candore del cinema indipendente.

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