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domenica 9 dicembre 2007

"Nuovo cinema italiano". Romanzo Criminale

Dietro quel palazzo da ragazzini rubammo una macchina. Eravamo Libano, Dandi, io e il Grana. E il povero Andreino, che ci lasciò quella notte stessa. […] Forse quella morte era un segnale per farci capire che dovevamo stare buoni per non fare la stessa fine. Invece noi abbiamo pensato che era meglio fare quella fine, piuttosto che andare a timbrare un cartellino per tutta la vita.
Il Freddo (Kim Rossi Stuart), uno dei protagonisti di Romanzo Criminale (Michele Placido, 2005), descrive così il perché ultimo della più sanguinosa gang della storia della Repubblica Italiana: la banda della Magliana.
A metà degli anni ’70 grazie ai soldi del sequestro Rosellini, il Libanese (Pierfrancesco Favini), il Dandi (Claudio Santamaria) e il Freddo danno vita ad una vera e propria organizzazione criminale. Con la protezione, poi, della massoneria, della mafia e dei politici, la banda riesce ad allungare i suoi tentacoli su ogni traffico illegale della capitale. Il loro unico ostacolo è l’ispettore Scialoja (Stefano Accorsi).

L’ex commissario Cattaneo, memore dei polizieschi italiani anni settanta, realizza un film in linea di massima riuscito. Solo in linea di massima, però. In realtà, la pellicola non arriva a volare molto oltre la succulenta materia prima fornita dalla storia. Colpa della regia, a tratti pretenziosa e contemporaneamente insicura, poggiata poi su di una sceneggiatura un po’confusionaria stesa da Stefano Rulli, Sandro Petraglia e Giancarlo De Cataldo (autore dell’omonimo libro da cui è tratto il film).


Bravi sono indubbiamente gli attori (Accorsi a parte!). E inappuntabile è la fotografia. Luca Bigazzi rende in modo magistrale attraverso le tonalità scure, trapassate dal fumo di infinite sigarette, l’atmosfera claustrofobica che aleggia sui protagonisti: giovani prigionieri di una vita bloccata, impossibilitata a qualsivoglia espressione luminosa. La luce arriverà, ma solo alla fine e con l’unica liberazione possibile

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