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Magico come sempre Neil Young. Sin dai tempi dei Buffalo Springfield, del connubio storico con Crosby, Stills e Nash, passando per l’esperienza solista e il graffiante, tesissimo rock dei Crazy Horse. Fino ai nostri giorni, la collaborazione con i Pearl Jam ed il ritorno acustico al classico folk rock. Nel 2005 la notizia sconvolgente: Neil ha un aneurisma al cervello. Incurante di tutto ciò che passa per la mente (sua e di chi lo circonda), la vita gli scorre davanti e coglie così l’occasione per un tour che spezzi il silenzio. Il risultato è questo Neil Young: Heart of Gold (2006), documentario firmato Jonathan Demme che mette insieme due serate tenute il 18 e 19 agosto 2005 al Ryman Auditorium di Nashville.
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Neil è stanco, si vede. Ha passo lento e aspetto dimesso. Non certo nel cuore, dal quale sgorgano note e parole fatate. Ha avuto un buco creativo di due anni, colmato – casualità della vita – subito dopo aver saputo della malattia. Lo accompagnano archi, fiati, una band in gran spolvero. La prima parte è dedicata soprattutto al materiale recente (When God Made Me, Here For You, la toccante This Old Guitar). Nella seconda partono i classici: Harvest Moon, Old Man, I Am a Child, The Needle and the Damage Done, la ballata di Ian Tyson Four Strong Winds, Heart of Gold, ovvio. Demme segue il cantante canadese con grande attenzione. Non è mai invadente, mantiene vivo il pathos con primi piani e ralenti pacati, conclude ogni brano con una dissolvenza in nero che evoca altri luoghi, un fuori campo poetico ma anche inquietante.
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Perché si respira un’aria di disfacimento lungo tutto il film, come se una morte amica fosse prossima a venire e non ci fosse più tempo. Viene in mente Robert Altman e non solo perché questi due show si sono svolti a Nashville. La stessa atmosfera di vuoto, di cupa e nostalgica dissoluzione permeava quel Prairie Home Companion (Radio America, 2006) che il maestro Altman ha lasciato come ultimo gioiello prima di andarsene. E – bizzarra coincidenza? – il nome del tour è Prairie Wind. Un tributo alla vecchia America, quella rurale e ‘selvaggia’, spontanea e viva, tradizionale e contadina.
Il finale con il teatro vuoto, Neil che suona The Old Laughing Lady e ripone la chitarra nella custodia gironzolando sul palco è un sentito e commovente tributo ad un leone del rock che non smetterà mai di ruggire.
I want to live, I want to give, I’ve been a miner for a heart of gold...
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