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Facile dire che di film come State of Grace (Stato di grazia, 1990) non se ne fanno quasi più. Facile perché è la verità. Se non fosse per i pochi autori rimasti e per qualche raro guizzo di genere, la deriva pulp e l’ottusità blockbuster avrebbero già inghiottito tutto. E invece solo qualche tempo fa uscivano ancora pellicole come questa, oscura e disperata ricognizione di inferni sulla terra, mancate integrazioni, passati tormentati, vite estreme, condotte ai margini e divorate dalla sete di potere. Particolare poi che un’opera del genere giunga da un regista come Phil Joanou, emerso da produzioni indipendenti fino a Final Analysis (Analisi finale, 1992) passando per il documentario sugli U2 Rattle and Hum (1988).
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New York, quartiere irlandese di Hell’s Kitchen. Terry Noonan (un nervoso, fragile, esplosivo Sean Penn) torna a casa, nella sua banda, dopo aver passato tanti anni a Boston. Anni durante i quali è diventato in realtà uno sbirro. La sua gang è capeggiata da Frankie Flannery (Ed Harris) e dal fratello Jakie (ironico, eccessivo, (s)fatto Gary Oldman), amico di vecchia data. La famiglia Flannery è completata da Kathleen (Robin Wright), per la quale Terry ha sempre avuto un debole. La missione è infiltrarsi nel gruppo e carpire informazione per porre fine al giro criminale dei Flannery. Tra il dire e il fare ci sono di mezzo omicidi, ripensamenti, fughe, sigarette e alcol a fiumi, fino ad un finale splendido che fa esplodere in un ralenti magnifico (come zio Sam (Peckinpah) ha insegnato) corpi e sentimenti.
Joanou conosce bene i meccanismi del mafia movie, prende da Scorsese, De Palma, Cimino, Coppola (The Godfather è citato apertamente). Ma senza esagerare, mosso da una sana passione. Per la storia cruda e violenta, per le origini di un paese come gli Stati Uniti, nato sul/dal sangue, dagli scontri tra irlandesi e italiani, da tradizioni diverse che trovano strani, bizzarri punti d’incontro. State of Grace resta impresso soprattutto grazie ad un cast a cinque stelle, capeggiato dai suddetti Penn, Oldman, Harris e Wright ed arricchito dai vari John Turturro, John C. Reilly, Joe Viterelli e R.D. Call. Da sottolineare anche le musiche di Ennio Morricone, stranianti, sinistre, tese come il volto e le azioni di Terry.
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