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giovedì 3 aprile 2008
Altro che baci romantici... My Blueberry Nights
Mai titolo italiano fu più nefasto. Forse i distributori erano sotto acido, chissà… Sta di fatto che mutare il bellissimo My Blueberry Nights (letteralmente, le mie notti al mirtillo) con l’anonimo e scellerato Un bacio romantico è un vero e proprio attentato alla logica del film, all’intelligenza degli spettatori (almeno quelli attenti) e alla poetica di un autore come Wong Kar-wai. Lasciando da parte queste questioni che ci ossessionano da tempo, c’è subito da dire che la prima opera hollywoodiana del regista hongkongese è una delizia per gli occhi, oltre che per il palato. Di sicuro manierista, auto referenziale, dolce oltre livelli inimmaginabili di glucosio. Tuttavia romantico, struggente e impeccabile come solo Wong Kar-wai sa essere. Non ai livelli dei suoi capolavori (Hong Kong Express - Chung hing sam lam, 1994 -, Happy Togheter - 1997 -, In the Mood for Love - Fa yeung nin wa, 2000 -, 2046 - 2004 -), ma dignitoso e soprattutto personale (a differenza di quanto capitato a tanti altri maestri d’Oriente sbarcati in USA, basti pensare agli action caciaroni di John Woo).
My Blueberry Nights si snoda come un road movie sulle intricate passioni dell’animo umano. Un viaggio che vede protagonista Elizabeth (Norah Jones), giovane tradita e allo sbando in una New York notturna e mai così ampia, senza centro. In un ristorante si sfoga con il proprietario Jeremy (Jude Law), il loro è un rapporto che diventa complicità, affinità, passione. I ricordi però fanno male, così Lizzy va a Memphis, per dimenticare lavora giorno e notte tra tavole calde e bar sudici. È qui che incontra Arnie (magnifico David Strathairn), poliziotto alcolizzato che non trova pace dopo l’abbandono della moglie (di una bellezza mozzafiato Rachel Weisz). Sarà la morte a segnare, riaprire la vita. Come quella di Beth, di nuovo in moto verso il Nevada, Las Vegas. Serve drink in un casinò dove incrocia Leslie (Natalie Portman), giocatrice accanita che non riesce in tempo a saldare i rapporti con il padre.
Legami, ricordi, l’amore come ossessione, bisogno, tentazione. Spazi immensi (come non pensare al Wim Wenders di Paris, Texas (1984), complici anche le musiche di Ry Cooder) che si concentrano e si chiudono nei cuori dei protagonisti. Luci soffuse, bagliori improvvisi, destini che si sfiorano e si rimettono in gioco. Questo è Wong Kar-wai. Forse imperfetto, sin troppo ammiccante a certe atmosfere e alla sensibilità del mercato (Law è un sex symbol, Jones una cantante di successo). Unico nel donare quel tocco smooth all’immagine. E nell’affrontare i vuoti, i buchi interiori, le distanze che ci dividono. L’impossibilità di affrontare a viso aperto l’oblio, la necessità di tenere viva la memoria. Per cambiare, per crescere, per diventare altri se stessi.
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