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mercoledì 9 aprile 2008

Home sweet home. A Good Lawyer's Wife


Un inferno famigliare sullo sfondo di una tremenda contemporaneità. È la Corea del Sud tratteggiata da Im Sang-soo, tra i migliori autori del nuovo cinema asiatico. Baramnan gajok (A Good Lawyer's Wife, La moglie dell’avvocato, 2003) si immerge in una città torbida, fatta di apparenze, (finti) sentimenti, sensazioni ed emozioni represse. Il fulcro della narrazione è una benestante famiglia borghese. L’avvocato del titolo è un uomo rampante e senza sentimenti, schiavo di alcol e sesso per mascherare la propria solitudine. I suoi genitori sono lo spettro di tale risultato, padre alcolizzato prossimo alla morte, madre resa arida dalla vita e ridonata all’esistenza grazie alle gioie di un nuovo compagno. La moglie Ho-jung ha rinunciato a se stessa per il figlio che hanno adottato (un bambino di un candore spaventoso), reprime la curiosità di sapere con chi va a scopare il marito per poi intrecciare una relazione con un giovane studente. Il motivo è semplice, ha smarrito la via del piacere (e del dolore). D’altro canto l’amante dell’avvocato è una ragazza che del sesso ha fatto una religione, per sentirsi libera piuttosto che vuota. Tutto procede secondo gli “schemi”, prima di un evento tragico che segnerà per sempre il loro cammino.


Im Sang-soo dirige con una pulizia magistrale. Il registro è da racconto polifonico, percorsi che si intrecciano tra esplosioni di vitalità e brusche pause. Le mancanze da riempire scatenano ansie e tremende reazioni, in un andirivieni pulsante e teso, piatto - nel ritmo del racconto - soltanto in apparenza. Vengono in mente Happiness (1998) di Todd Solondz e Magnolia (1999) di Paul Thomas Anderson come termini di paragone per comprendere questo tipo di cinema in Occidente. O il realismo torbido di Matteo Garrone. Anche se qualcuno ha accostato l'opera a American Beauty (1999) di Sam Mendes - dunque a The Ice Storm (Tempesta di ghiaccio, 1997) di Ang Lee. Ma sono meri riferimenti perché la Corea non è l’Italia né gli Stati Uniti e anche il passato (i resti di corpi vittime durante la guerra con il Nord ritrovati dopo cinquant’anni) è un elemento fondamentale che torna sempre a galla.


Un invito alla concordia che in realtà è uno strascico di strappi difficili da rimarginare. Una quotidianità fatta di gesti inutili, perché inutile essa stessa. Per ridare un senso è necessario trasgredire, andare oltre le apparenze, rompere quella tela di ragno chiamata famiglia. Sembrerebbe un’elegia del sesso mentre è pura voglia di vivere. Di non sentirsi soli, morti dentro. Nella gioia e nel dramma. Non a caso l’orgasmo ritrovato di Ho-jung che si trasforma in pianto è il momento più alto del film. Attimi mesti e toccanti difficili da dimenticare.


1 commento:

Anonimo ha detto...

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