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venerdì 11 aprile 2008
Cara, vecchia Hollywood. Charade
Cara, vecchia Hollywood. Creatrice di meravigliose illusioni, mecca di sfrenate fantasie, madre del nostro immaginario. Quando la fabbrica dei sogni scopriva la ‘quarta dimensione’ con il musical, Stanley Donen ne era uno dei padri. Lavorava sulla sottile linea tra verità e apparenza, fondeva arti visive diverse, trasfigurava la realtà estetizzandola, rendendola spettacolare. Film come On the Town (Un giorno a New York, 1949), Singin’ in the Rain (Cantando sotto la pioggia, 1952), Deep in My Heart (Così parla il cuore, 1954), The Pajama Game (Il gioco del pigiama, 1957) – solo per citarne alcuni – ne sono un vivo esempio. Tuttavia succedeva anche che un autore di questo tipo si prestasse ad altri esperimenti e venisse fuori un’opera incredibile come Charade (Sciarada, 1963). Un po’ come accaduto per il re della commedia Billy Wilder che alle prese con il noir tirava fuori dal cilindro un capolavoro quale Double Indeminity (La fiamma del peccato, 1944).
Charade è tipico cinema hollywoodiano. Ritmo costantemente teso, trama gialla che si contamina con la commedia brillante, dialoghi serrati e scoppiettanti. La vicenda riprende temi classici e vede protagonista Reggie Lambert, una ragazza agiata e oziosa che insoddisfatta del suo matrimonio con Charles, medita il divorzio. È americana ma si trova a Parigi, in vacanza. Il marito scompare in maniera misteriosa. Viene ritrovato morto, gettato da un treno in corsa. Inizia per lei una girandola di incredibili avventure, temibili e pericolose. Ad aiutarla, un uomo brillante che non conferma mai di essere ciò che appare (o dice di essere).
Di una bellezza strepitosa la protagonista Audrey Hepburn, sornione come al solito Cary Grant. Da urlo il resto del cast: su tutti un divertentissimo agente (spia) della CIA (almeno così sembra…) Walter Matthau, l’ispettore francese Jacques Marin e i trucidi antagonisti James Coburn, George Kennedy e Ned Glass. Ciliegina sulla torta le memorabili musiche di Henry Mancini e gli scintillanti, pop, psichedelici titoli di testa di Maurice Binder. Stanley Donen è un maestro, analizza in profondità il rapporto tra vero e falso, tra uomo e donna. Tiene viva la tensione del thriller (merito anche della sceneggiatura di Peter Stone) e ci parla di matrimonio, gioco delle parti, relazioni tra sessi. Con frizzante romanticismo, toni fantastici, un’ironia fuori dal comune, una potenza visiva pulsante. Il duello tra Grant e Kennedy sul tetto dell’American Express proviene dal cuore della settima arte. Mai come in casi del genere, vale la classica affermazione “film del genere non se ne fanno più”. Seppur sia stato egregiamente rifatto da Jonathan Demme nel 2002 (The Truth About Charlie).
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