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sabato 15 novembre 2008

Oltre la frontiera. Laila's Birthday


Presentato al Festival di Toronto 2008 nella sezione Contemporary World Cinema e vincitore del Premio Amore e Psiche all’ultima edizione del MedFilm Festival di Roma, Eïd miled Laïla (Laila’s Birthday, 2008) è l’ultimo tassello del mosaico personale costruito ad arte dal regista palestinese Rashid Masharawi. Storia particolare quella di Rashid: nato nel 1962 nel campo profughi di Shati nella striscia di Gaza, studia cinema da autodidatta, esordisce con Curfew (1994) ottenendo il Premio UNESCO al Festival di Cannes, e continua il proprio percorso artistico con Haifa (1996) – con il quale inizia il sodalizio con l’attore e regista Mohammad Bakri –, Ticket to Jerusalem (2002) e Waiting (2005). Tutte storie difficili, che mettono in scena con taglio forte eppure fresco le difficili condizioni di vita all’interno dei campi profughi palestinesi. Dal folle protagonista di Haifa alla coppia di Ticket to Jerusalem passando per il regista Ahmad di Waiting.


Laila’s Birthday prosegue sullo stesso tracciato. Abu Laila (il solito formidabile Mohammad Bakri) è un ex giudice. Il cambio di governo non ha giovato affatto alla sua carriera. Così l’unica risorsa che gli resta è prendere in prestito l’auto del cognato e diventare tassista. Il giorno del settimo compleanno della figlia, fa di tutto pur di tornare a casa con un bel regalo ed una torta. Abu Laila non ha nient’altro in mente: la felicità della propria famiglia. Ma la vita di tutti i giorni in Palestina non è così facile e prima di tornare a casa può accadere – e accade… – di tutto. Tra esplosioni, incontri improvvisi e un cellulare dimenticato in taxi che squilla in continuazione, Masharawi ci trascina tra le strade di Ramallah. Una città blindata, luogo di ritrovi e scontri, una sorta di fortezza da espugnare per tornare a casa sani e salvi. Con qualche soldo in tasca.


Il paradosso è quello di un tassista con una mentalità da giudice che non permette ai suoi passeggeri di avere armi in macchina e di farsi portare nei pressi della frontiera. O di fumare – perché spesso, come sostiene un ex prigioniero politico, sorta di coscienza storica palestinese, in questo posto è l’unico modo per passare il tempo – e sedere davanti senza cintura. Paradossale è anche la ricerca di giustizia che anima Abu Laila. «Mr. Justice» lo ribattezza sarcasticamente un passeggero. Non è forse un paradosso pensare ad un ministero in uno stato che non è uno stato? Le mura che gravano sulla città restano comunque sullo sfondo. Masharawi ha il grande pregio di girare con uno stile secco e asciutto (sin troppo documentaristico), combina musiche tradizionali (di Kais Sellami) e rumori ossessivi (splendida la sequenza iniziale con la rottura dei vetri e il risveglio improvviso di Abu), evita con agilità le secche di una inconveniente retorica, coglie l’autenticità di sentimenti, odio e rispetto compresi. Ma soprattutto, tinge la vicenda di ironia, sfiorando a tratti il grottesco. Che per un’opera girata in un contesto tanto drammatico è autentica manna dal cielo. Il monologo di Bakri a seguito dell’esplosione che scombina tutti i suoi piani è un pezzo di cinema che resta nel cuore. E il finale aperto ad una forte speranza colpisce e commuove.

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