find the path

domenica 20 gennaio 2008

In the mood for Hell


Appassionati della settima arte non crederete ai vostri occhi da buoni intenditori di cinefilia, se essi oseranno leggere oltre.
Il film di cui qui si parla è quello che tutti (o quasi) ritengono il capolavoro di Wong Kar Wai.
In the Mood for Love (Fa yeung nin wa), girato nel 2000 dal regista di Honk Kong, è una pellicola apprezzatissima.
In concorso al Festival di Cannes finisce per vincere il Prix d'interprétation mascoline, andato a Tony Leung Chiu Wai. Ma non è della bravura dell’attore che qui si vuole discutere. Lasciamola opportunamente indiscussa. Quello di cui intendo dilettarmi è del film nella sua interezza.
“Poetico, struggente, passionale, meraviglioso, capolavoro”, questi gli appellativi con cui esso è solitamente descritto. La mia domanda è una sola: Perché?
Wong Kar Wai non è tra gli autori che prediligo, ma è sicuramente un mio uomo di fiducia. Dopo aver apprezzato Angeli perduti (Duo luo tian shi, 1995) e Hong Kong Express (Chung Hing sam lam - 1994 -, particolare affetto riservo soprattutto a quest’ultimo), mi sono precipitata alla ricerca di In the Mood for Love. Sapevo che al contrario di dei due precedenti lavori, il film godeva di una linearità nella narrazione e nell’uso della MdP. Motivo questo che ha contribuito ad interessarmi e incuriosirmi ulteriormente. La mia ricerca, però, si è rivelata alquanto ardua (ahimé non mi era possibile scaricarlo). E più non riuscivo a impossessarmene, più il film diventava, per me, desiderato e prezioso. Poi, come per magia, l’ho trovato per caso a casa di amici di un’amica. In quel momento mi sono sentita Boris Balkan (quello, per intenderci, di La nona porta, Roman Polanski, 1999) davanti al libro Le Nove Porte del Regno delle Ombre! Purtroppo, però, cari miei, dopo aver visto il film, ho fatto la sua stessa fine: precipitata tra le fiamme dell’inferno!


Il mio, a differenza del povero Balkan, più che un inferno vero e proprio è stato fortunatamente, “solo” un inferno di delusione. E sicuramente sarà perché, come Balkan, non sono in possesso dei requisiti per godere dell’oggetto tanto desiderato. Sarà stato con ogni probabilità questo, visto che le mie considerazioni sul film sembrano differire con tutto e tutti. Dove gli altri hanno visto una fotografia fatta di un’armoniosa melodia di colori, io ci ho visto un accostamento alquanto kitsch di tinte. Tinte che richiamavano in qualche modo alla mia mente quelle prodotte, in una visuale dall’alto, dall’accozzaglia floreale dei cimiteri nel giorno della festa dei morti.


La medesima impressione mi provocavano i vestiti della protagonista (Maggie Cheung) mentre invece avrei dovuto vedervi una garbata e fine eleganza di costumi come pur accadeva “al resto del mondo”. E non parliamo del “meraviglioso” uso del ralenti atto, secondo il buon senso cinematografico, a far indugiare gli occhi dello spettatore su semplici e schietti particolari. Particolari che sovente riempiono la vita degli uomini e a cui, ancor più sovente, non si presta la meritata attenzione. Ebbene - visto che ormai ci siamo - neanche in questo caso sono riuscita a gradire. In realtà ho trovato che più che di uso del ralenti si dovesse parlare piuttosto di abuso. Un abuso talmente ridondante che finiva per spolpare la mia pazienza, quando non alimentava un’inaspettata ilarità. Questo però non vuol dire che non abbia apprezzato e invidiato, complici una decina di ralenti a essa dedicati, la grazia delle proporzioni appartenente al fondoschiena di Maggie Cheung.
Per non parlare poi della splendida estetica delle inquadrature: una successione di quadretti che finiscono per sembrare nature morte anche quando hanno per soggetto uomini vivi. Attenzione particolare è stata dedicata (anche senza ralenti!) a particolari di questo e di quest’altro. Ad esempio il lungo indugiare sul fumo di una sigaretta che sale verso una lampada al neon. Anche in tal caso non sono riuscita a cavarne gradimento, né una spiegazione diversa dall’autocelebrazione del buon gusto dell’autore! A questo punto mi fermo. Non vorrei approfittare ulteriormente della pazienza di chi, al contrario mio, è in possesso di tutti i meritevoli requisiti per amare questa pellicola. Prima però vorrei raccontarvi la trama. Due vicini di casa si accorgono che i rispettivi coniugi hanno una storia tra di loro. I due sfortunati finiscono per innamorarsi l’uno dell’altra ma non si mettono mai insieme. Perché? Non c’è nessun perché.
Ps: quell’anno a Cannes vinse Lars Von Trier con Dancer in the Dark. Vi rendete conto? Lars Von Trier che vince la Palma d’Oro… Ma questa (come dicono in certi film) è un’altra storia!

4 commenti:

amedeo anfossi ha detto...

carmela così non può dormire....

amedeo anfossi ha detto...

annabella di pavia

amedeo anfossi ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
amedeo anfossi ha detto...
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