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venerdì 1 febbraio 2008

The sound of Istanbul. Crossing the Bridge


Fatih Akin ha fatto il giro dei festival e delle sale d’essai soprattutto grazie a La sposa turca (Duvara karsi ,2004) e al recente Ai confini del paradiso (Auf der anderen seite, 2007). Pellicole sinuose e delicate, poetiche e al tempo stesso crude nel raccontare conflitti culturali, identità violate, vite on the road, aspri drammi quotidiani. Il miglior esito del suo cinema dimora però altrove. Nelle strade brulicanti, nei vicoli bui, nei silenzi e nei rumori sconfinati, nelle contraddizioni della sua Turchia. Un paese ricreato in musica nel bellissimo documentario Crossing the Bridge – The Sound of Istanbul (2005). Akin compone un totale, devoto ritratto della sua terra usando il riferimento musicale come mezzo.


Alexander Hacke, bassista dei maestri tedesci Einstürzende Neubauten (ripassare Halber Mensch – 1985 – e Fünf Auf Der Nach Oben Offenen Richterskala – 1987 – per capire di chi si parla) e autore di alcune musiche per La sposa turca, è l’occhio e il corpo del regista. È lui ad essere ‘pedinato’ in giro per la metropoli, spetta a lui scoprire questo alternarsi di umori, questo andirivieni di sensazioni. Oriente e Occidente, tradizione e innovazione, felicità e sofferenza. Tutto passa da qui, da un pugno di note.
Il tour di Hacke si apre e si chiude con i Baba Zulu, psych band che lo invita a suonare su un cutter nel Bosforo. Attraversa la scena rock underground: i beat e i bassi profondi degli Orient Expressions, il grunge rabbioso dei Duman, il ‘civilized noise’ dei Replikas, la storia dissacrante del primo rocker turco Erkyn Korai. Da garage, festival, club fumosi e bar di periferia si sposta alla world music derviscia di Mercan Dede e all’hip-hop di Ceza, meslum politico e ‘contro’ che passa anche per il free style urbano. Di qui ci si inoltra nella tradizione sufi e mevlevi, poi con Selim Sesler nella zona rom del Kesam. Si recuperano le radici degli anni ’40 e ’50 con l’opera filologica della folk singer canadese Brenna MacCrimmen. Ci si immerge nelle piazze, nel cemento, nelle voci profonde e nel disagio con i musicisti di strada Siyasiya. Giù e giù, fino alle nenie curde intonate da Aynur, agli sperimentalismi saz della star Orhan Gencebay (l’Elvis dell’arabesque) e al ritorno della canzone popolare con Müzeyyen Senar e Sezen Aksu. Il duetto tra Hacke e la Aksu con vecchie foto in bianco e nero di Istanbul che scorrono sullo schermo è un momento di grande poesia.


Akin ha talento e sensibilità nel coinvolgerci lungo tratti di storia e costume del suo paese. La camminata dinoccolata di Alexander resta impressa nella memoria e se il suo viaggio non svela i misteri di questa città, di sicuro ci esorta a visitarla e ad essere meno sicuri delle nostre (apparenti) certezze.