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martedì 30 ottobre 2007

Ritratto di famiglia in un inferno. Il calamaro e la balena


Il Sundance Film Festival ha senza dubbio tanti meriti: promuove il cinema indipendente, lancia giovani autori, opera in quella dimensione autoriale dell’industria americana che cerca di tenersi a dovuta distanza dal modello (di frequente ingombrante) hollywoodiano. Tuttavia un conto è avere una idea, un conto realizzarla. Ci sono centinaia di film ‘di genere’ con quantità di cervello e coraggio elevatissime rispetto a certi risultati pretenziosi che chi opera spalle al mainstream spesso ottiene. Basta prendere Little Miss Sunshine (Jonathan Dayton e Valerie Faris, 2006) come esempio. Non un brutto film, anzi. La definizione appropriata è ‘carino’. Simpatico, acuto, umano. Tutto questo senza però essere in pieno graffiante. È una certa onestà che manca. Detto questo, il tema centrale della pellicola è una famiglia disastrata di loser. Argomento che a quanto pare attira molto gli autori più indie. E ha già dato esiti splendidi grazie a Todd Solondz (Welcome to the Dollhouse, 1996; Happiness, 1998; Palindromes, 2004), Neil LaBute (In the Company of the Man, 1997; Your Friends and Neighbours, 1998), Wes Anderson (The Royal Tenenbaums, 2001; The Life Aquatic with Steve Zissou, 2004) e il promettente Jason Reitman (Thank You for Smoking, 2005; Juno, 2007).


Il calamaro e la balena (The Squid and the Whale, 2005) di Noah Baumbach – giunto dopo Kicking and Screaming (1995), Mr. Jealousy (1997) e Conrad & Butler Take a Vacation (2000) – può iscriversi appieno a questo registro. Film piccolo, intenso, breve, essenziale. Anche terribile. Perché il ritratto di famiglia che ne viene fuori è infernale. Marito e moglie sono due scrittori benestanti, lui snob in crisi creativa, lei in piena ascesa verso il successo. Divorziano, chi ne fa le spese sono i figli. Il maggiore vive un’adolescenza inquieta nell’ombra del padre, tra pulsioni, ricordi e desideri che non riesce a soddisfare. Il minore invece (legato alla mamma) è il fulcro del film, un ragazzino acido, aggressivo e confuso, che tenta di scoprire tutti gli istinti umani: bere birra e whisky, sfidare il totem paterno, masturbarsi e cospargere di sperma libri e armadietti della scuola.


Una sorta di mostro generato dalla falsità di una borghesia intellettuale ipocrita, emotivamente instabile, lacerata nel suo (dis)farsi. Come talento sprecato, cercato, mai avuto. Non quello dei filistei ma neanche quello di chi a Short Circuit preferisce Blue Velvet e dopo un semi infarto cita Godard. Ecco perché Walt pensa che nessuno se ne accorga se per un compito a scuola copia Hey You dei Pink Floyd spacciandola per una sua canzone. Tutto è ossessione, specie quando si parla di sesso, il traino del film. Elemento che unisce, disgrega, ammalia, ipnotizza, fa crescere. Come le ottime interpretazioni degli attori, da Jeff Daniels e Laura Linney ai giovani Jesse Eisenberg e Owen Kline.

Ah, Il calamaro e la balena ha vinto i premi per regia e sceneggiatura al Sundance 2004. Ed è stato prodotto da Wes Anderson. Il cerchio si chiude.

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