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domenica 4 novembre 2007

L'inganno di Leone


“Se per voi questo è il Bene e questo il Male, noi siamo dalla parte del Male”.
Erano gli anni a cavallo tra la fine dei sessanta e l’inizio dei settanta, erano gli anni degli eroi western di Sergio Leone. La buona moralità aveva fatto il suo tempo. E i nuovi “condottieri popolari” non potevano che collocarsi ai margini della società, essi erano le deiezioni di questa, le scorie che essa aveva prodotto. La loro unica funzionalità era in relazione a una violenza catartica scagliata contro il vecchiume di un’ipocrisia sociale non più sostenibile.


È questa qualità di violenza che viene decantata nei film del regista romano. Film che convenzionalmente si definiscono western.
Il cinema, sappiamo tutti, è la pozza limpida dove l’umanità contemporanea si guarda in faccia nel modo più diretto, poiché, da questa umanità contemporanea, il cinema è stato generato. Esso è il mezzo frutto dell’unione di tecnica e arte, scienza e umanesimo, matematica e filosofia. È la superficie riflettente che ci mostra, praticamente senza mediazione, la situazione sociale e i nostri stati d’animo (paure o speranze) da essa dipendenti.
Leone lavorava in quei decenni in cui l’american way aveva definitivamente tradito gli americani stessi, nonché le speranze dell’intero occidente a cui questa via americana era stata sbandierata grazie anche alla più grande fabbrica delle meraviglie esistente, Hollywood, naturalmente. Fabbrica delle meraviglie che aveva trovato nel genere dei cowboy la massima espressione del Sogno made in Usa.


È per questi motivi che allora diventa ovvio scovare in Leone un western teatrale, ironico e palesemente finto. Un western di barocche bruttezze costruite mediante tutte le finzioni possibili della messa in scena, comprese quelle della commedia dell’arte, del teatro delle marionette napoletano e dei Pupi siciliani. Spingendosi anche oltre introducendo con il campanaro pazzo Juan de Dios e il vecchio (e altrettanto pazzo) profeta, alcuni personaggi minori tratti dalle tradizioni letterarie popolari di Spagna e Italia. Fino ad arrivare alla massima espressione di questo scovare, scavare e fingere con Tuco (il Brutto).


Un personaggio a tutto tondo che non avrebbe mai potuto emergere da Hollywood: un “familista amorale” e un truffatore, che viene fuori come la figura di Nofriù nel repertorio dei Pupi siciliani: buffo, infantile astuto, disinibito e sorprendentemente tenero; vestito di stracci ispano-messicani e dedito ai piaceri della vita .Tuco mangia disordinatamente, rutta, si riempie il gargarozzo di wiskey, parla troppo e piscia fuori dai vagoni della ferrovia. Urla a pieni polmoni insulti complicati e involuti (…). Un Sancio Panza per il cavaliere Cleant Eastwood, tutt’altro che senza macchia. Nei disegni di Simi (Carlo Simi fu lo scenografo, l’arredatore e il costumista nella maggior parte dei film di Leone) sembra uno scalcagnato clown a cavallo. (C. Frayling, Sergio Leone - danzando con la morte, Il castoro, Milano, 2002, p236).


Ma le figure scaturite dal suo immaginario sono anche gargoyles: facce di zingari andalusi, facce sfregiate, che serbano memoria delle facce come tipi di Ejzenstejn o dei freaks di Fellini. Un universo, dunque, fatto di maschere, di tic nervosi e violenza che si avvolge su se stessa e si dispiega, allungando i suoi tentacoli ovunque. Essendo queste le premesse è facile immaginare che l’eroe leoniano è in verità un anti-eroe, un pistolero, un cacciatore di taglie, un bandito che mentre è impegnato a sfuggire alla morte, è costantemente assetato di denaro e guidato dalla massima Homo homini lupus. La fiducia sembra essere aliena a questo universo o quanto meno si manifesta mediante percorsi perversi e tortuosi. Il fatto è che neanche lo spettatore può fidarsi di un'opinione riguardo ad un comportamento di un protagonista di Leone, perché questo comportamento potrebbe essere ingannevole e dimostrare che il personaggio l’aveva messo in pratica per fini diversi da quelli che chi guarda il film aveva immaginato o forse sperato.
Ma tutto ciò non provoca, forse, in questo spettatore un senso di goduria?
I film di Leone appartengono ad un cinema, concepito come arte visiva. Un cinema che fa dell’inganno il suo motore ultimo, affinché sia data (come in un musical) alla verità della finzione la possibilità di mostrare e fuggire, allo stesso tempo, la verità della Storia.

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