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sabato 13 ottobre 2007

Vado al Max. Masters of Horror I.II


Seconda tranche di episodi della serie tv Masters of Horror trasmessa da Sky Cinema Max. Il prodotto creato da Mick Garris ci ha donato mini film davvero interessanti dei quali abbiamo parlato in precedenza (non smetteremo mai di glorificare la bellezza di Cigarette Burns di John Carpenter), mentre in questa parte di programmazione (ricordiamo, ancora prima stagione) il livello si è leggermente abbassato. D’altronde eguagliare maestri come Carpenter, John Landis, Joe Dante e Dario Argento è piuttosto difficile… Ma procediamo con ordine.

Esordio di questa fase è Dreams in the Witch House di Stuart Gordon, che si rivela anche uno dei migliori episodi. Gordon (apprezzato per Re-Animator - 1985 - e Dagon - 2001 -) gira infatti un horror vecchio stile, legato alla metafisica lovecraftiana, fatta di creature inquietanti e misteriose, varchi spazio temporali e incursioni nei meandri oscuri del nostro essere. La vicenda è quella di Walter Gilman, studente in cerca di una tranquilla abitazione per completare i suoi studi di fisica quantistica. La casa che trova è sudicia tuttavia ideale, salvo una presenza minacciosa che si manifesta attraverso le pareti della sua stanza. L’orrore quotidiano è quello della mente, il corto circuito che si crea quello tra realtà, raziocinio, immaginazione. Stuart Gordon è un regista abile, gira con scioltezza e pesca un paio di soluzioni realmente paurose (l’uomo topo su tutti).

Secondo episodio trasmesso è Incident On and Off a Mountain Road di Don Coscarelli. Coscarelli è un bravo regista, ci auguriamo infatti il suo Bubba Ho-tep (2002) venga presto distribuito in dvd. In questa circostanza adatta un romanzo breve di Joe R. Lansdale (l’unico scrittore rimasto capace di nutrire di macabro l’immaginario americano). L’occasione poteva essere ghiotta ma risulta riuscita in parte. Ciò che convince è la messa in scena, il ritmo narrativo che con ottime trovate visive prende alla gola e assale (e il personaggio di Moonface rimane stampato nella mente). Ciò che delude è la scelta degli attori (pessimi, a parte il vecchio interpretato da Angus Scrimm) e un certo appiattimento verso standard smaccatamente televisivi (ok, parliamo di prodotti per la tv ma come mai con gli altri autori non si notava?). Detto questo, nella vicenda di Ellen (donna sposata ad un uomo esaltato con la passione per le armi e la sopravvivenza estrema, che rimasta in panne con l’auto diviene vittima di un mostro maniaco) traspaiono echi di tremenda attualità. L’ansia del disastro imminente, la mostruosità della normalità, la guerra dei sessi, l’incontro/scontro città/provincia, la paura dell’altro, dello sconosciuto. Domande e riflessioni che Lansdale elabora da sempre nelle sue opere.


Terzo mini film è Chocolate di Mick Garris. Apprezziamo Garris per lo sforzo produttivo che fa (è lui ideatore e produttore della serie), per la libertà che dà a tutti gli autori. Come regista però – e dispiace dirlo – fa davvero schifo. Chocolate è il peggior episodio visto: banale, prevedibile, piatto, senza sussulti. Giusto qualche guizzo sanguinolento ma è poca cosa. Una regia dozzinale e soprattutto una recitazione disastrosa che rende il tutto ancor meno credibile. La storia è infatti quella di Jamie, un ragazzo che testa e inventa essenze. Lasciato dalla moglie, inizia ad avere una sorta di esistenza parallela vivendo nel proprio corpo le esperienze (fisiche e psichiche) di una donna. Niente di che insomma, ci auguriamo Garris in futuro riveda le proprie scelte e faccia di meglio.

Uno dei prodotti più riusciti è invece Pick Me Up di Larry Cohen. Il regista è poco noto qui in Italia, negli Usa ha un discreto seguito che si è guadagnato grazie a splatter intelligenti come It’s Alive (1974) e Q The Winged Serpent (1981). Questo episodio riesce a trasmettere un forte senso di inquietudine e soprattutto gioca una carta fondamentale: l’ironia. Nella recitazione (il camionista Jim Wheeler con la faccia malsana di Michael Moriarty è impareggiabile), nella realizzazione, nelle tematiche trattate. E lo fa concedendosi anche poco al gore. Un bus resta in panne su una desolata strada di montagna, i passeggeri saranno vittime della competizione tra due maniaci. Cohen mischia slasher e horror classico, cita Duel (Steven Spielberg, 1971) e The Hitcher (Robert Harmon, 1986) e dice un paio di scomode verità sulla società odierna. Dov’è la (a)normalità? Nella normalità? Cosa succede se il cacciatore diventa preda? E se la preda sfida il cacciatore? Nella competizione non restano altro che brandelli di carne umana. Come il finale beffardo e divertentissimo ci illustra.

Ultimo degli episodi programmati è Haeckel’s Tale, mini film che segna un grande ritorno, quello di John McNaughton. Regista rimasto nel cuore di tutti gli amanti dell’horror per il suo cult movie Henry: Portrait of a Serial Killer (Henry pioggia di sangue, 1986). In questo caso gli ingredienti per un successo c’erano tutti: patrocinio di George Romero (che avrebbe dovuto girare personalmente il film), soggetto tratto da Clive Barker, sceneggiatura di Mick Garris. Compito ingrato dunque, svolto infatti con diligenza e senza particolari guizzi. La vicenda di Haeckel (studente di medicina pronto ad affrontare diverse peripezie pure di raggiungere il suo obiettivo scientifico, far rivivere i morti) narrata da una anziana negromante ad un giovane rimasto vedovo, tende a ricreare le atmosfere brumose e oscure dei vari Poe, Lovecraft e Shelley. Moderno Faust, Ernst Haeckel vive quest’ansia con insana ossessione. L’ambientazione ottocentesca in realtà mal si sposa allo stile crudo, diretto, quasi documentaristico che aveva fatto la fortuna di McNaughton. Così escluso qualche particolare (la fotografia di Attila Szalay, l’interpretazione ‘fisica’ della bellissima Leela Savasta) il progetto non rende quanto dovrebbe e nel finale annega nella banalità quando si tratta di tirare le fila del racconto.

Peccato, perché le premesse erano davvero ghiotte. Va comunque riconosciuto ampio merito a Garris per averci donato un po’ di sano gore che in tempi di magra cinematografica tanto ci mancava. E lode anche a Sky per aver programmato la serie senza problemi, in prima serata. Ora attendiamo soltanto la messa in onda di Dance of the Dead di Tobe Hooper e soprattutto Imprint di Takashi Miike, uno dei pochi che quando ci si mette sa davvero far tremare vene e polsi. Chi ha visto Audition (Oodishon, 1999), Ichi the Killer (Koroshiya 1, 2001) e Gozu (Gokudo Kyofu Daigekijo: Gozu, 2003) sa di che stiamo parlando.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ho apprezzato entrambi gli articoli su questa serie. confermi pregi e difetti già evidenziati da altri cinefili. non ho ancora visto nulla, ma 3-4 episodi mi interessano (carpenter-landis-miike-gordon)

ultramagneticglow ha detto...

grazie dei complimenti!
ti assicuro che il capolavoro assoluto è cigarette burns, quello è proprio un gioiello.
mi è spiaciuto per coscarelli, dal racconto di lansdale poteva trarne un capolavoro!

morris666 ha detto...

conosco il racconto dal quale è tratto l'episodio di coscarelli (era nella bellissima raccolta di lansdale maneggiare con cura),di buona fattura ma la storia in sè era poco originale.