find the path

lunedì 3 settembre 2007

Vado al Max. Masters of Horror I.I


Sky Cinema Max è un canale del pacchetto cinema Sky dedicato principalmente ad action movie, horror trucidi e blockbuster un po’ caciaroni. In quest’ultimo periodo ci ha però sorpresi declinando al meglio il cinema di genere, l’horror in particolare. Una serie di classici rari da beccare in televisione (Suspiria - 1977 - di Dario Argento, Halloween - 1978 - di John Carpenter, Evil DeadLa Casa - 1982 - di Sam Raimi) e soprattutto quattro episodi della prima serie di Masters of Horror. Ai quali ne faranno seguito altri cinque.

Per chi non lo sapesse Masters of Horror è una serie televisiva americana creata da Mick Garris per la tv via cavo Showtime. Un insieme di mini film da 55/60 minuti che esplorano archetipi e stereotipi dell’horror, con un budget di 1.9 milioni di dollari per ogni capitolo e nessun limite creativo posto per gli autori, i migliori in circolazione nel genere. Le prime quattro settimane di programmazione di Sky Cinema Max hanno così dato la possibilità a chi non ha acquistato i dvd/visto i film in festival o rassegne/scaricato i file di assaporare il brivido di questa eccezionale iniziativa. Prime tre serate per tre registi di culto, sui quali è necessario soffermarsi un istante.

Primo episodio è Jenifer di Dario Argento. Un film non del tutto riuscito, un capolavoro se paragonato alle sue ultime produzioni, non certo eccezionale come era stato descritto. Piace il gusto eccessivo per sangue e sesso, meno la vena sciatta di scrittura e recitazione (certe incongruenze narrative fanno sorridere). D’altronde la vicenda non è delle più originali: uno sbirro in servizio nota un uomo sul punto di uccidere una donna bellissima ma dal volto sfigurato. Riesce a salvarla e a portarsela a casa (la poveretta non ha documenti e una vera identità), salvo pentirsene quando capirà che anche il suo animo è corrotto. Una linearità da love story per un progetto forse non troppo sentito dall’autore, che lo riporta comunque in auge e fa ben sperare per La Terza Madre.

Secondo episodio è Deer Woman di John Landis. Non proprio un paladino dell’horror (il meglio di sé lo ha dato con commedie cult come Animal House, The Blues Brothers, Trading PlacesUna poltrona per due e Into the NightTutto in una notte), amato dai fan del brivido soprattutto per l’ironico An American Werewolf in London (1981). Tanta ironia assicura anche Deer Woman, uno spasso per tutta la sua ora di durata. I feticisti non dormiranno sonni tranquilli: i piedi della meravigliosa Cinthia Moura popoleranno a lungo i sogni (erotici) degli spettatori. È lei la donna cervo che secondo un’antica leggenda indiana si risveglia per esigere il proprio tributo umano. E sarà un detective abile ma ‘marcio’ e disilluso (relegato per questo alla sezione ‘animal attack’, omicidi commessi da animali!) ad avere la meglio sulla sua tremenda bellezza. Commedia e horror si mescolano con superbo gusto cinematografico, grazie ad un ritmo travolgente e a una scrittura agile, veloce, mai stantia. Tanto che Landis giocando cita se stesso e tra un ghigno e l’altro vomita un paio di scomode verità sull'odierna società americana (bellezza è mostruosità?).

Terzo episodio è un grande ritorno, quello di Joe Dante con Homecoming. Celebrato come il capolavoro della prima serie dei Masters, ad una visione approfondita sembra più una occasione sprecata. Chiariamo subito: l’idea di base è assolutamente geniale. A seguito di una ipocrita ‘promessa’ formulata dal presidente americano durante un comizio (idea rubata a sua volta da un prestigioso consulente politico neocon), i marines morti in guerra in Iraq tornano negli States sotto forma di zombie e votano contro il presidente. Dopo aver votato muoiono nuovamente. Un coraggio fuori dal comune dunque, per una visione radicale, spietata, rivoluzionaria, cinica, ironica e mai consolatoria della (triste) realtà politica e mediatica di oggi. Unita ad una realizzazione tecnica preziosa. Cos’è che non va allora? Sono i toni. Fin troppo espliciti, macchinosi, da pamphlet ottocentesco. Il pubblico di oggi è smaliziato, abituato a ben altro. Se Dante avesse lavorato di sottrazione invece che di accumulazione il risultato sarebbe stato molto diverso. Rimane comunque una visione necessaria quella di Homecoming, perché finalmente l’horror torna ad essere coscienza critica, squarcio sulla realtà, occhio nudo su falsità e bassezze che ci animano.

Quarto episodio è il capolavoro della serie, Cigarette Burns di John Carpenter. Un film meraviglioso, oscuro, cupo, criptico, allucinato. Un gioco metacinematografico che è una profonda riflessione sulla macchina cinema, sulla creazione e distruzione dei sogni, sulla capacità di immaginare e di riflettere in un mondo che ha smesso di credere nel potere delle immagini. Il cinema come ossessione, come maledizione, come viaggio nei nostri meandri più imperscrutabili. È il trip che affronta il giovane protagonista, gestore di un cinema specializzato in film rari, assoldato come detective da un bizzarro collezionista (il mefistofelico Udo Kier) per rintracciare una copia di La Fin Absolue du Monde, pellicola del fantomatico regista Hans Backovic proiettata una sola volta al Festival di Sitges del 1981, dove ebbe effetti collaterali incredibili sul pubblico in sala, scatenando panico, follia, istinti omicidi. Le stesse pulsioni cui il protagonista Jimmy Sweetman andrà in contro avvicinandosi sempre più all’unica copia rimasta. Copia che diventa simulacro, emblema, totem che si allontana mano a mano che ci si avvicina, perché contiene l’anima stessa del cinema (l’inquietante angelo cui sono state strappate le ali) che puoi tentare di incatenare, imprigionare, ma pur mutilata continuerà a vivere, tornerà libera. Perché è la creatività, è la follia del vedere, non la visione ‘assoluta’ che procura incubi, bensì le bruciature di sigaretta che si imprimono sul nostro inconscio. “Attenzione arrivano, tu li elimini e tutto a un tratto è anarchia”. Un capolavoro di angoscia cinéphile, che cita a piene mani dal passato e dal presente (Nosferatu, The Abominable Dr. Phibes, Profondo Rosso, Saw, Devil’s Rejects) perché è come un vampiro che si abbevera di immagini, incubi e passioni. D’altronde “il film è magia, e nelle mani giuste è un’arma”.


Nessun commento: