find the path
giovedì 29 novembre 2007
Occidente decadente. Verso il sud
Haiti è uno dei paesi più poveri delle Americhe. Dominio spagnolo, colonialismo francese, nel 1915 arriva anche l’occupazione statunitense. Dittature militari prima della definitiva indipendenza. Costata sangue e miseria. Una delle poche risorse è il turismo. Di natura spesso sessuale. È intorno a questo tema che gira Vers le sud (Verso il sud, 2005) di Laurent Cantet. Basandosi sul racconto La chair du maître di Dany Laferrière, il regista francese tocca l’ennesimo nervo scoperto della nostra ricca, miserabile società. Dopo il dramma famigliare di Risorse umane (Ressources humaines, 1999) e il realismo di A tempo pieno (L’emploi du temps, 2001), entrambi incentrati sul tema del lavoro, Verso il sud fotografa in maniera spietata un Occidente in piena decadenza.
A Port-au-Prince c’è un bellissimo albergo che affaccia su una splendida spiaggia. Tre donne ormai sopra i 50 anni scappano dalle loro tristi vite e si rifugiano in questo universo inesplorato, fonte di rinnovato piacere. È un ragazzino ad allietare la loro permanenza, Legba. Corpo sinuoso, sguardo triste eppure fiero. Saranno le contraddizioni del luogo a portare ad una fine della storia tragica. In realtà l’assunto del film è tanto semplice quanto terrificante: abbiamo perso la bellezza, è qualcosa che ormai non ci appartiene. Per avere l’illusione di possederla possiamo solo comprarla. Inquinarla con la forza dei soldi. Le confessioni di tre donne alla deriva ne sono la riprova. Brenda (Karen Young) a 45 anni ha ottenuto il suo primo vero orgasmo, con impulsiva violenza. Ellen (Charlotte Rampling), borghese cinquantacinquenne, odia le altre donne e il suo mondo, ha paura d’amare, salvo tramutare in putrido orrore la sua fuga, in volgare marciume. Sue (Louise Portal) ha solo bisogno di contatti, quelli che normalmente non riesce ad intrattenere. Vive le sue vacanze come liberazione, diversità di costumi. Un arrogante folklorismo.
Le tre attrici sono bravissime e la regia di Cantet non si lascia sfuggire niente. Piuttosto che nel dispiegare il confronto tra nord/sud, povertà/ricchezza (in verità un po' tirato via, senza grande stile), si rivela attenta nel cogliere le varie sfumature di questi intricati rapporti umani: volti, sentimenti, corpi, paesaggi, mancanze. Il corpo perfetto di Legba è ciò che non siamo più, ciò che non possiamo più essere. È un grido disperato perso in un vuoto.
Le maschere buone si confondono con le maschere cattive. Ma tutti hanno le maschere…
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