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martedì 18 settembre 2007
Bellezza e macerie. La ragazza del lago
Intrecci, legami. La ragazza del lago (2007), opera prima di Andrea Molaioli, è un film di vincoli affettivi, di sentimenti. Che vengono alla luce dietro una vicenda tragica nella quale i confini tra giallo, beghe di paese e leggenda (il lago del serpente) si confondono. È difficile anche per il commissario Sanzio indagare (un intenso, scorbutico, umano Toni Servillo, nell’ennesima interpretazione straordinaria). C’è una ragazza, Anna. Giocava a hockey, era molto bella. L’hanno trovata morta, sulla riva del lago. Nuda, come addormentata. È arduo scoprire la verità, perché tutti hanno avuto con lei dei rapporti. Attenzione, non sessuali. Anna è morta vergine. Dei rapporti profondi, empatici. Come la purezza innocente di un bacio.
Un padre quasi morboso, un fidanzato bugiardo e incompreso, una sorella non tale, il viscido allenatore della squadra locale di hockey. La famiglia Canali per la quale la ragazza faceva da babysitter. E poi Mario, il matto del paese, e il suo burbero padre paralitico (intenso Omero Antonutti). Segreti, rapporti tesi, pronti ad incrinarsi da un momento all’altro. Sui quali è difficile venire a capo, anche per una persona metodica come il commissario (e il suo fedele assistente Alfredo… amore non corrisposto?). Perché c’è dolore, c’è lacerazione. Prima di tutto nel cuore di Sanzio, che si ritrova con una moglie affetta da una malattia nervosa degenerativa e una figlia con cui è difficile parlare, spiegarsi, aprirsi.
È questo ciò che piace di La ragazza del lago. Prende il soggetto dal romanzo Lo sguardo di uno sconosciuto dell’autrice norvegese Karin Fossum. Sandro Petraglia ne trae un sceneggiatura attenta, pulita. Molaioli dirige in modo denso, avvolgente, rarefatto. Servito dalle ottime musiche di Teho Teardo. Sfruttando tutti i meccanismi di genere (sembra di assistere a una vicenda di Simenon, Maigret o Chabrol) per parlarci d’altro. Di noi, del nostro profondo, della sottrazione alla vita, dell’assenza e delle pause dall’essere. Del dramma che si consuma nella profonda provincia italiana. Che in tal caso diventa quella del Nord Est, il Friuli, la Carnia. Luoghi quasi magici, imbevuti di presente (laghi, boschi, viuzze strette e solitarie) e passato (ancora vive sono le tracce nelle foto dei terremoti). Posti dal respiro ampio, che si sposano con il taglio nero della vicenda. Senza alimentarne l’oscurità però, solo i vuoti che l’esistenza lascia. Quella reale, vissuta, non quella finta e posticcia che la televisione ci spaccia per tale.
Qui ci stanno di mezzo i sentimenti Alfre', chiunque l’ha messa in quella posizione le voleva bene.
P.S. Ah, qualcuno deve spiegare anche a me perché le donne quando litigano, litigano di spalle.
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